L’allarme svizzero

Quello della Svizzera è solo un ulteriore segnale dell’inesorabile processo del fallimento europeo.

Sia chiaro, la Confederazione elvetica è un discorso a parte e diverso dal resto d’Europa, ciononostante la tendenza espressa con il voto dei giorni scorsi non può che confermare l’aria che tira tra la gente. Del resto, abbiamo detto e scritto ripetutamente che la Brexit avrebbe lasciato un segno non per l’economia, ma per l’influenza di pensiero sul disfacimento dell’orribile castello Ue. Viene infatti da sorridere a leggere gli ammonimenti che sanno di minaccia dei soloni europei nei riguardi della Svizzera , sui rapporti futuri fra la Confederazione ed il consesso Ue.

Non c’è minaccia che tenga di fronte ad un mastodonte che ha dimostrato anno dopo anno i limiti, le incapacità e le ipocrisie per le quali è stato costruito. Tanto è vero che le scommesse sul prossimo disfacimento dell’Unione europea sono in progressivo aumento e l’unica variabile resta il tempo, quanto ci vorrà ancora prima che Euro e Unione crollino del tutto.

Quello che, infatti, nessuno ha il coraggio di dire è che oltre le apparenze, Germania in testa, ognuno pensa ad attrezzarsi per il dopo moneta unica. Ecco perché è sempre più difficile trovare accordi fra Paesi, perché ogni Stato membro tende a irrigidirsi e lo stesso Mario Draghi fa una fatica bestiale a risolvere il problema degli stimoli monetari. Solamente l’Italia continua ad abboccare alle indicazioni e alle imposizioni, lasciando che l’Europa si mangi quel niente di polpa che è rimasto intorno alla scorza del nostro Paese. È noto, infatti, che paghiamo molto più di quel che riceviamo, che gli obblighi sono più delle concessioni, che sull’immigrazione ci hanno lasciati soli, che al tavolo principale non ci invitano nemmeno più.

Insomma, mentre tutti si organizzano per conto loro, noi continuiamo come se niente fosse a non capire l’aria che tira sul futuro dell’Unione. Come se non bastasse, l’esito delle prossime presidenziali in America potrebbe accelerare, e non di poco, il processo di sfaldamento in corso. Va da sé, infatti, che anche se vincesse Hillary Clinton (ed è tutto da vedere) la sua politica verso l’Europa dovrebbe essere molto, ma molto diversa da quella di Barack Obama. In buona sostanza, ci stiamo avviando ad una delle stagioni più critiche e complicate degli ultimi decenni, per l’economia, per gli equilibri geopolitici, per la tenuta sociale e quella identitaria.

Per questo il 2017 sarà anno cruciale ed il nostro Governo anziché pensare alle chiacchiere, come ha fatto da tre anni a questa parte, dovrebbe concentrarsi solo ed esclusivamente sulle necessità interne e indifferibili, a partire dalla Legge di stabilità. Non cogliere il suono della campanella è perdersi ancora intorno a beghe di potere personale e a sogni di onnipotenza, questa volta, ci esporrebbe a rischi i cui esiti finali sarebbero incontenibili e pericolosi.

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 17:23