La bufala renziana su Equitalia

sabato 22 ottobre 2016


Su Equitalia si sono dette molte inesattezze perché faceva comodo far passare l’Agenzia delle entrate per il poliziotto buono e l’Agenzia di riscossione per il poliziotto cattivo. Vero è che chi evade (foss’anche per bisogno o perché la pressione fiscale è eccessiva) potrà definirsi vittima di un Governo oppressore, ma non potrà certo prendersela con un Ente nato per volontà di tutto l’arco costituzionale (grillini esclusi perché non erano ancora nati) con il fine di stanare i furbi che non onorano i loro debiti con l’erario. Perché poi chi non paga sarà anche vittima di uno Stato sprecone, ma alla fine va chiamato con il proprio nome: evasore. E non è che all’evasore, il quale giunge all’attenzione di Equitalia dopo una serie di avvisi bonari inviati dall’Ente impositore, si possa mandare “l’sms perché si è scordato”. Quello è uno che non si è scordato in quanto, agli avvisi bonari che glielo ricordavano, ha preferito non replicare. Motivi suoi? Bisogno? Furbizia? Tutto umanamente comprensibile, ma non legalmente sufficiente.

In secondo luogo, Equitalia non agisce in maniera vampiresca e per libera iniziativa ma opera all’interno di un quadro normativo che hanno ideato proprio coloro i quali adesso vogliono abolirla. Equitalia non incamera sanzioni e interessi di mora applicati alle cartelle, ma sono gli enti beneficiari dei tributi ad acquisire tali somme così come sono questi ultimi a decidere i nominativi dei destinatari delle famose cartelle.

Adesso, dopo averla infangata per bene manco fosse un’azienda di Berlusconi, puntuale come un treno del ventennio è giunto il solito annuncio renziano: aboliremo Equitalia. Annuncio roboante anche se nessuno dice che, lungi dal trattarsi di una libera iniziativa governativa, è ascrivibile ad un non troppo gentile diktat di Ocse e Fmi, i quali hanno obbligato l’Italia ad adeguare il comparto fiscale a degli standard da Paese civile. Così come nessuno dice inoltre che, spendere il nome di Equitalia all’interno di un decreto molto più ampio, serve solo ad attirare l’attenzione dell’opinione pubblica distogliendola da altri temi. Il decreto in questione ha infatti come secondo binario quello del condono sulle cartelle esattoriali (fatto passare per rottamazione) su cui si vuole spegnere il faro mediatico ma che serve invece come il pane a fare cassa e limitare i giudizi negativi della Commissione europea sul Documento di economia e finanza (Def). Matteo Renzi è quindi alla ricerca disperata di una manciata di miliardi per avvicinarsi quanto più possibile al rapporto deficit/pil imposto da Bruxelles e si attacca alle cartelle inserendole nel roboante mare magnum della finta abolizione di Equitalia. Prova ne siano le indiscrezioni che girano in questi ultimi giorni sul fantomatico riordino del comparto fiscale che, a quanto pare, produrrebbe una non-riforma. In principio si era parlato di fusione tra Agenzia delle entrate ed Equitalia, con gli inevitabili strascichi derivanti dalla omogeneizzazione contrattuale tra i primi (dipendenti pubblici) ed i secondi (dipendenti privati). Il tutto da finalizzare nei primi sei mesi del 2017, organizzando in maniera definitiva il comparto. Invece dopo l’annuncio, il vuoto. In queste ore, infatti, ecco spuntare l’operazione di facciata che non abolirebbe un bel niente, ma farebbe confluire l’ente riscossore in una scatola di proprietà dell’Agenzia delle entrate (che ne resterebbe fuori). Equitalia, a questo punto di proprietà di Agenzia delle entrate al 100 per cento, cambierebbe semplicemente nome e verrebbe messa a bagnomaria per ben tre anni, demandando ad un comitato di gestione la realizzazione di una razionalizzazione che scivolerebbe quindi tra le “varie ed eventuali” (dato l’orizzonte temporale così ampio). Il che, al nostro Paese, equivale a parlare di non-riforma a babbo morto da non realizzare quando ormai le elezioni sono lontane e la responsabilità delle affermazioni fatte ce l’ha Pantalone.

Queste sono le rivoluzioni made in Italy: due tweet, una slide e puntualmente il nulla. Poi si può essere d’accordo o no su una riforma. Ma almeno che la si faccia evitando manfrine e prese per i fondelli.


di Massimo Ascolto