“Ti racconto la politica”

sabato 22 ottobre 2016


Il “multintrigo” dei congressi (Capitolo 56) - Ricordiamo che i congressi “eleggono” i dirigenti di partito e che questi sono una sorta di ponte con i poteri istituzionali... occorre intuire l’intrinseco legame di detti dirigenti, con quanto descritto di seguito. Esiste il subdolo tentativo di spingere il popolo verso una cultura ipocrita e ingannevole del “socialmente” giusto. Si è giunti a istituzioni prepotenti che “inventano” leggi, norme, decreti, regole e delibere che nulla hanno a che vedere col corretto senso del giusto né di morale, equità, libertà, democrazia e rispetto. Il capitolo n.16 (Realtà e linguaggio) rileva che, seppure nell’illusione d’essere concreti, più si parla per immediata emotività e meno tempo si dà al cervello per riflettere e capire; l’impulsività amputa l’intelligenza.

I “registi” della politica, intesa nell’accezione più negativa, hanno dato vita a una quantità di apparati che mentre dichiarano i più nobili intenti, creano una miriade di regole e balzelli con lo scopo di estorcere denaro al cittadino e di assoggettarlo alla prepotenza istituzionale. È sempre meno sopportabile che il popolo sia costretto a subire tante prepotenze indegne ma intoccabili, perché rese come “sacre” da questa o quella istituzione pubblica; ciò è una tragedia sociale. L’essere umano, in quanto perfettibile, non ha alcuna possibilità di creare nulla di perfetto; l’assoluto può esistere nel trascendente o soprannaturale, ma non può fare parte della quotidianità umana. Ciò è di per sé un motivo razionale e sufficiente perché un ordinamento amministrativo e politico serio faccia propria la libertà del dubbio, ovvero l’intelligente umiltà di capire, ammettere e correggere i propri errori. Qualsiasi apparato governativo, amministrativo, legislativo e politico sarebbe autorevole e degno di stima, se evitasse di usare certa emotività popolare per costruire inganni dalla facciata credibile e se si dimostrasse davvero disponibile a rivedere le proprie posizioni, secondo la coscienza dell’autocritica e la lettura di quello che viene oggi chiamato il feedback popolare.

L’irragionevolezza di cittadini ingenui e talvolta fissati che assumono certa rumorosa inconcludenza popolare come riferimento politico, rinforza la propensione ingannatrice delle istituzioni che trovano facile gioco nel proporre “impalcature” ingannevoli e difettose, che però presentano come assiomi, ovvero come verità assolute, dunque credibili, da non mettere in discussione. L’autorità politica non è Dio; essa non merita considerazione se non sa meritare stima. L’autorità politica italiana dimostra da decenni, di preferire un popolo facilmente ingannabile a un popolo preparato. Il fine dell’autorità istituzionale si è bassamente spostato dal dovere di tutelare il cittadino, alla cattiveria di avvilirlo e opprimerlo … tutto ciò accade in nome e all’insegna di doveri che vengono imposti come tali ma che non hanno autorevolezza etica per essere tali. In sintesi, creando dei presupposti “divinizzati” dal concetto di inconfutabilità e perfezione delle norme, si tende a rendere intoccabile l’istituzione che non merita rispetto. I dirigenti di partito sono parte predominante e attiva nei sopra accennati costumi.


di Giannantonio Spotorno