La “riformetta”

Siamo convinti che lo spazio concesso dai mass media all’endorsement obamiano in favore dell’amico Matteo sia spropositato rispetto all’impatto reale che esso ha sortito sull’opinione pubblica. La verità è che, quando i contenuti languono, è naturale che ci si attacchi alle “dichiarazioni-marchetta” per alimentare un dibattito, quello pubblico, che diventa giorno dopo giorno più noioso e vacuo. Nessuno che si soffermi, ad esempio, sul prezzo che l’Italia ha dovuto pagare per spingere il Presidente pro tempore degli Stati Uniti a sperticarsi in elogi verso le riforme oggetto di referendum: abbiamo dovuto promettere un impegno diretto in Libia ed una posizione oltranzista anti-Putin in un’Europa troppo tiepida sull’argomento. Pensate che il gioco valga la candela? Forse nelle speranze del Presidente del Consiglio sì, ma per l’Italia il prezzo è troppo alto.

Questi sono i fatti, così come un fatto concreto è che gli italiani continuano a non leggere il testo di riforma costituzionale, limitandosi ad esprimere un parere pro o contro l’attuale blocco di Governo. Ed è difficile biasimarli visto che, la noiosa lettura dei testi, restituisce l’impressione che la riforma renziana sia troppo poco coraggiosa per destare entusiasmo e troppo poco dannosa per avversarla con decisione. In realtà, se dovesse passare il sì non uscirebbe certo vino dalle fontane mentre, se dovesse passare il no, dopo non ci sarebbe il baratro.

Apprezzabili gli effetti che la riforma avrebbe su baracconi come Cnel, amministrazioni provinciali e sperperi regionali, mentre molto meno apprezzabile (perché nullo) l’impatto che la nuova Costituzione avrebbe su Parlamento e Governo. I Padri Costituenti avevano pensato ad un’architettura costituzionale piena di pesi e contrappesi perché, all’indomani della dittatura, era parso loro opportuno avere un sistema bilanciato anche se lento. Oggi viviamo in un altro mondo, in un sistema in cui vince chi è veloce, chi decide in fretta senza riti ottocenteschi anche se ciò crea delle semplificazioni potenzialmente pericolose. Se è vero quindi che per la velocità decisionale passa la sopravvivenza del nostro Paese, non è possibile entusiasmarsi per una riforma che conserva il Senato e snellisce giusto un po’ i processi legislativi. Detto questo, tutti coloro i quali caricano di significati storici questa riforma che epocale non è, perché ascrivibile alla classica montagna che ha partorito il topolino, suscitano sentimenti tra la tenerezza e la compassione. Per completezza, non sono certo definibili campioni di coerenza anche tutti coloro i quali, prima hanno contribuito a scriverla e poi la dipingono come il male assoluto o come una favolosa occasione per disarcionare Renzi (senza pensare che dopo di lui c’è Beppe Grillo visto che la loro inesistente corrente politica è sparita dai radar).

Morale della favola: trattasi di riformetta che, lungi dall’appassionare, polarizza il giudizio su considerazioni ultronee rispetto ai contenuti (pro o contro Renzi) favorendo, per differenza, il disinteresse. Non sarebbe un evento inaspettato se, dopo l’esito delle urne, ci ritrovassimo su queste stesse pagine a dare un giudizio politico sulla scarsa affluenza la quale, pur non incidendo ai fini del quorum, ha una sua valenza squisitamente politica.

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 16:47