Referendum: alcuni criteri per giudicare

La conferma (non per infondatezza, ma per inammissibilità per la natura dell’atto impugnato) da parte del Tar del Lazio del quesito referendario “apologetico”, formulato con violazione del precedente, se rappresenta la conferma di uno degli espedienti renziani per manipolare il voto popolare, almeno pone fine alle tergiversazioni “preliminari” con le quali si è, in qualche modo, cercato di far capire che non era “ancora” il momento di parlare del merito, di “noiose questioni” relative al significato dei nuovi articoli della Costituzione proposti, del nuovo “meccanismo” istituzionale proposto, della possibilità, validità e qualità del suo funzionamento.

C’è stata e c’è, né sembra che Matteo Renzi e compagnia intendano cambiare registro, la tendenza a “parlar d’altro” che noi abbiamo denunciato da prima dell’estate. Così, da parte di lor signori del “Sì”, ci viene detto: 1) che la riforma è quella novità attesa da anni; 2) che “semplifica” l’approvazione delle leggi; 3) che riduce i costi della politica; 4°, che pone rimedio all’ingovernabilità del Paese.

Questa è una enumerazione e definizione tutto sommato benevola e razionalizzata del “metodo Renzi”, della riforma e del modo di scodellarla e raccomandarla agli elettori. Certo è che sono evitate, sostituite dalle stupidità, che abbiamo raccolto (in parte anche piccola) nel noto libretto, le questioni fondamentali. I sostenitori del “Sì”, girala e rigirala, non vanno mai oltre quelle enunciazioni. È la fiera delle “buone intenzioni”. Benché tradotta nei nuovi articoli e nella loro prolissa formulazione, la riforma non ci viene mai presentata, descritta, magari esaltata con riferimenti alla effettiva portata giuridica, al reale meccanismo, alle qualità del relativo funzionamento. Basta dare un’occhiata al “nuovo” testo: colpisce subito la sua prolissità che nelle norme è di per sé sintomo di confusionismo e di pasticcio. Ne è esempio ed emblema l’articolo 70 (Formazione delle leggi) che nella Costituzione attuale consta di 9 parole, mentre nella “semplificazione” bosco-renziana consta di ben 476 parole. Altri articoli sono poco meno “dilatati”. Ma non basta. La Costituzione attuale ognuno, a meno che non sia un troglodita semianalfabeta ed ottuso, la legge e la capisce. Provate a leggere il testo della riforma. Vi accadrà di “perdere il filo”, di dover tornare indietro a rileggere. E vi rimarrà il dubbio (e non solo il dubbio) di non averci capito un accidente.

Dietro ogni oscurità dello scritto si cela sempre una controversia interpretativa, un’incertezza su come applicare la prescrizione. Il potere del legislatore (nel caso, ancor più grave, del legislatore costituzionale) malamente esercitato, si trasferisce all’oligarchia degli interpreti, che sarebbero quelli che a quella norma dovrebbero (per primi) obbedire. Dalla democrazia, dal Parlamento (nei confronti di cui la riforma esprime insofferenza e dileggio) il potere passa alla Casta delle toghe (di vario colore e foggia).

Giratela, osservatela, pensatela come vi pare, ma questa è la “novità”, la “modernità” di quell’autentico sgorbio. Altro che “difetti formali!”. Altro che “intanto è un passo avanti!”. Il “salto nel buio” non è nel fatto che il boy scout, se vince il “No”, ci lascia orfani della sua straordinaria guida. È nella mancanza di vere, certe regole di un giuoco. Resterebbero i coltelli sotto il tavolo. E sarebbe inutile sperare nella promessa che li “lascino a casa”.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:02