Cosa insegna il duello

Ernesto Galli della Loggia non molla l’osso della polemica sul ruolo odierno della destra italiana. Di rimessa, Arturo Diaconale, che non ci sta a subire le sentenze del dotto editorialista del “Corsera”, non molla la presa: para e risponde.

L’incipit dell’ultima riflessione dell’illustre storico è fulminante: il problema della destra è di trovare qualcosa da dire di diverso da ciò che dice la nuova sinistra di Matteo Renzi. Per Galli della Loggia il rischio che corre la destra, in cronico deficit di riflessione e di proposte convincenti, sarebbe quello di morte per consunzione. Senza l’ausilio di un pensiero autonomo, originale, sinceramente proprio, la fine di un’esperienza che ha animato un intero universo politico e ideale giungerebbe ancor prima che la sentenza delle urne la certificasse. Come il destino di una supernova, che pur essendo esplosa, per un effetto luminoso continua a essere visibile nello spazio siderale.

Il tentativo di sfondamento a destra imputato a Matteo Renzi, per Galli della Loggia, non rappresenterebbe un’appropriazione indebita d’identità ma la naturale evoluzione del processo politico scaturito dalla selezione darwiniana delle ideologie dell’Ottocento e del Novecento. A questa ricostruzione Diaconale non ci sta e rilancia denunciando che l’illustre professore, oltre alla convinzione che Renzi si sia appropriato delle idee della Destra, ne coltivi un’altra, più consistente della prima.

Diaconale insinua il dubbio che, per Galli della Loggia, la Destra di idee non ne abbia neanche mezza. Il solo sospetto che questa tesi possa avere il minimo fondamento lo manda su tutte le furie al punto da respingere al mittente l’accusa di vuoto di pensiero attribuendola piuttosto a Renzi del quale evidenzia la propensione a scimmiottare, male, le idee altrui. Galli della Loggia colpisce sotto la cintura sbeffeggiando la tanto enfatizzata “discesa in campo” di Silvio Berlusconi. Con aristocratica perfidia lancia la provocazione: “Dov’è... la famosa ‘rivoluzione liberale’ che Berlusconi ci aveva promesso vent’anni fa? Dov’è mai finita?”. Diaconale risponde mettendo in fila una teoria di personalità che, da Randolfo Pacciardi a Silvio Berlusconi, hanno coltivato il presidenzialismo come prodotto autoctono di quella destra che, a dispetto dell’infausta diagnosi di Galli della Loggia, continua a essere viva e produttiva. È una tale rivendicazione d’orgoglio quella di Diaconale, che nel pronunciarla gli scappa un po’ il piede dalla frizione: nella ricostruzione del Pantheon del pensiero di destra, sebbene circoscritto alla proposta del presidenzialismo, ci infila anche Bettino Craxi che era fieramente socialista e, come tale, antitetico alla destra. Nel duello sanguigno tra Galli della Loggia e Diaconale resta una dose di non detto che potrebbe spiegare molto utilmente la consistenza politica, tutt’altro che accademica, della disputa in atto. L’oggetto misterioso che sottende alla polemica si chiama liberalismo.

Quando Diaconale obietta a Galli della Loggia di tenere nascosta, nello sviluppo del suo ragionamento, una seconda convinzione trascura la possibilità che lo storico, in realtà, celi un retro-pensiero che sarebbe più giusto definire “pensiero rétro” nel senso che è presente nelle sue tesi sulla Destra già da molti anni. L’entusiasmo mostrato per la correzione di rotta renziana troverebbe spiegazione in alcune vecchie pagine. Messa così l’infatuazione per il giovanotto fiorentino sarebbe frutto di un sentimento d’implicita gratitudine: essere Renzi la prova vivente della sua teoria sulla natura della destra. Un po’ come se Albert Einstein avesse incontrato un viaggiatore venuto dal futuro a testimoniargli di persona l’efficacia della teoria sulla relatività. Galli della Loggia, nel suo “Intervista sulla destra” del 1994 affermava che pensare a liberalismo e destra come a una cosa sola fosse un errore. Per lo storico soltanto la diffusione del pensiero radical-democratico-giacobino, sviluppato dall’universo rivoluzionario del 1789 francese, aveva spinto l’idea liberale a stare dall’altra parte della barricata. Il loop nel quale si sarebbe avvitata la storia della Destra, non soltanto italiana, riguarda la fondamentale contraddizione tra una natura originaria costituita da una radice profondamente conservatrice, attenta alla preservazione del complesso dei valori legati alla Tradizione, e una spinta di tipo progressista introitata attraverso il liberalismo in scia al pensiero illuminista. Nella ricostruzione di Galli della Loggia, il “nativo” di Destra non accetta “la prospettiva giusnaturalistica e contrattualistica che l’Ottantanove aveva posto a fondamento della nuova sovranità politica”. Capita così che quell’uomo che si è formato leggendo le opere di de Maistre e Donoso Cortés, che non sono affatto distanti da quelle di Edmund Burke, si trovi a fare i conti con un pensiero, quello liberale, che gli sventola davanti la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino.

Che fare? Stare dalla stessa parte fintanto che vi fosse stato un nemico comune da combattere. Ma cosa sarebbe accaduto nel momento in cui quel nemico che aveva svolto la funzione di malta per tenere insieme l’edificio politico della destra fosse scomparso? Tutto sarebbe dovuto tornare al proprio posto: anche le ideologie nei loro alvei naturali. Si comprende perciò l’attenzione che Galli della Loggia presta a Matteo Renzi. Nella sua personale cosmogonia della destra Renzi non sarebbe l’appropriatore indebito di idee altrui, lo “scippatore” come lo dipinge Diaconale, piuttosto un signore che risale le antiche scale per reclamare qualcosa, il pensiero liberale, trattenuto fuori del proprio campo da cause di forza maggiore. La tesi è suggestiva anche perché è suffragata da alcuni comportamenti degli ex leader del Partito Democratico che avellerebbero tale ricostruzione. Se così non fosse perché allora Massimo D’Alema mostrerebbe tanto odio e livore nei confronti di Renzi? Perché il giovanotto lo ha rottamato o perché con lui ha liquidato quella vena social-comunista, presente nelle cavità carsiche anche dell’ultima versione del centrosinistra? E perché D’Alema, che ha scelto lo scontro referendario come la sua personale battaglia delle Termopili contro l’esercito renziano, avrebbe tentato un’“union sacrée” con il centrodestra tradizionale? La comparsa, poi, sulla scena di forze cosiddette antisistema che funzionano da apparati drenanti delle scorie residue di massimalismo e di giacobinismo radical-rivoluzionario presenti a sinistra, consentirebbero a Renzi di reclamare il ritorno del pensiero liberale nell’alveo originario dell’architettura progressista”... Cioè dalla cultura che ha dominato fin dall’inizio la vita intellettuale e il mainstream dell’opinione della Repubblica, avendo potuto fruire della massiccia vittoria che le consegnava nel 1945 la modernizzazione fascista”. Ed è qui che Galli della Loggia affonda il bisturi: una destra privata della forza trainante del pensiero liberale è in grado di continuare la sfida sul terreno della politica senza ricadere nel peccato originale del solipsismo, sua malattia infantile? Il riferimento è a quella destra che storicamente ha amato indulgere all’idea della propria minorità, crogiolandosi nella sensazione di essere, come scrive nel 1994 Galli della Loggia, “un’élite sconfitta ma non rassegnata”.

Ora, il problema c’è ed è inutile fingere di non vederlo. L’unico varco aperto per non soccombere è costituito dall’avvio di una riflessione a largo spettro sull’individuazione di una nuova identità di sintesi della Destra politica italiana ed è anche l’unico argine all’Opa lanciata da Renzi sull’altrui elettorato. Il tentativo di scalata del centrodestra se non debitamente contrastato gli potrebbe riuscire. Continuare a discutere è un buon modo per tenere le porte aperte alla soluzione del problema.

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 16:51