A proposito di condono

Sull’iniziativa varata dal Governo nei giorni scorsi, continua a tenere banco la polemica sollevata dai Gengis Khan delle tasse che ballano il valzer dell’ipocrisia. Infatti, intorno al cosiddetto condono sulle cartelle Equitalia, si è scatenato l’immancabile fuoco di fila del favore fatto agli evasori.

A parte che sarebbe simpatico spulciare negli archivi fiscali per verificare quanti di questi “gabella boys” abbiano o meno approfittato dei vari condoni varati negli anni, ma c’è ben altro da specificare. È noto a tutti, infatti, che la stragrande parte di quelli che hanno pendenze a vario titolo non sono evasori, ma più semplicemente debitori, morosi, insolventi, insomma soggetti che pur dichiarando hanno omesso, trascurato, sbagliato alcune voci o importi della dichiarazione. Parliamo di centinaia di migliaia di contribuenti che per necessità, scelta momentanea, impossibilità occasionale, distrazione contabile o più semplicemente per sopravvivenza, hanno disatteso alcune scadenze impositive. Ed è proprio a questo punto che scatta l’assurdità di un sistema come il nostro che ha stabilito regole al limite della civiltà fiscale, generando così un inevitabile cortocircuito fra cittadini e amministrazione. Il recupero del credito, infatti, anziché avviarsi verso un percorso di giusta collaborazione per consentire all’inadempiente di mettersi in regola, da noi si esplica con metodi vessatori, complicati e per certi versi estorsivi, che nella più parte dei casi aprono un baratro. Per via di leggi assurde, le cartelle si raddoppiano, triplicano e iniziano un percorso perverso di atti e contro atti che si rimpallano da un ente all’altro, costringendo il contribuente a un flipper esasperante ed ossessivo. Come se non bastasse gli uffici richiedenti godono per legge di una sorta di immunità divina, che li porta a buggerarsene di tutto, talvolta perfino delle sentenze dei giudici a favore dei contribuenti.

Insomma, in Italia saltare una scadenza significa entrare in un girone infernale che a nulla porta se non alla drammatizzazione, talvolta tragica, di un evento che potrebbe risolversi in ben altro e pacifico modo. Oltretutto, non poche richieste nascono da errori dell’amministrazione e non dei contribuenti e in questo caso si manifesta tutta l’assurdità del sistema che dà sempre ragione al fisco. Il fisco sbaglia ma non paga, trasgredisce ma non subisce, può tacere e non rispondere, dispone di tutto il tempo che vuole, non fa file e per principio ha sempre ragione. Da noi l’onere della prova è invertito. In Italia il fisco non parla con nessuno e, quando lo fa, è solo per ingiungere, non parla nemmeno con gli enti richiedenti e con quelli collegati, per cui se uno di questi sbaglia a catena sbagliano tutti, alla faccia delle ragioni dei cittadini. Insomma di che parliamo? Vogliamo insistere così, oppure cambiare un sistema che è perverso e per questo genera perversione, antagonismo, contrapposizione? I condoni, che non dovrebbero esistere, nascono proprio dalla scelleratezza di regole così sbagliate che finiscono con l’ingenerarne la necessità. Quando si tassa tutto e troppo si creano balzelli di ogni tipo, si rendono cervellotiche le operazioni, vessatorie le riscossioni, si moltiplicano le scadenze e le regole di calcolo, è inevitabile il caos, l’inferno, la lotta e il collasso. Ecco perché alla fine gli incagli, i sospesi, gli insoluti, i ricorsi e il rischio di rivolta fiscale portano all’emergenza sociale e dunque all’indispensabilità dei condoni. Ecco perché a nulla serve abolire Equitalia se non si riforma da capo a piedi tutto il sistema impositivo italiano, per livello e qualità, pressione e metodo, diritti e doveri, oneri e onori. Basterebbe che il fisco più che “amico” fosse giusto, semplice e normale. Basterebbe che il fisco tornasse indietro agli italiani servizi di qualità e investimenti per il Paese, anziché sperperi, ruberie, scandali e quant’altro viene fatto con i soldi delle tasse.

Ecco perché, infine, una pacificazione, rottamazione o sanatoria che sia, può funzionare, non solo se risolve davvero tutto per poi ripartire sul pulito, ma se è accompagnata da una riforma che rivoluzioni la filosofia fiscale attuale. Insomma, se è vero che il reato l’ha inventato il diavolo, spesso l’occasione e la necessità le genera l’avidità, la scriteriatezza e l’ipocrisia del sistema, Torquemada di turno compresi.

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 16:35