Statistiche contraddittorie, le carceri al collasso

Leggo con preoccupazione sul numero 243 di ottobre, dalla rivista della Polizia Penitenziaria, che “secondo i dati ufficiali del Dap (il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, n.d.a) aggiornati al 30 settembre scorso, nelle carceri italiane ci sono 54.465 persone detenute ospitate nei 49.796 posti detentivi disponibili (ma da altre fonti ministeriali pubbliche, risultano più di 4mila posti non disponibili). Quindi, a conti fatti, in Italia sono ristrette 4.669 persone in più rispetto ai posti dichiarati disponibili, che determinano una percentuale di affollamento delle carceri del 109 per cento. La percentuale del 109, si badi bene, è quella che viene tirata in ballo ad ogni dichiarazione ufficiale dal ministro e dal capo del Dap quando vogliono dimostrare che la situazione del sovraffollamento ormai è sotto controllo. Il semplice calcolo aritmetico avrebbe senso se in Italia avessimo un unico ed enorme carcere da 50mila posti in cui cercassimo di far entrare 55mila detenuti. Invece, di carceri in Italia ne abbiamo 193: alcune piccole, alcune grandi, alcune molto sovraffollate, altre mezze vuote”.

Il record negativo, secondo le rilevazioni di settembre, lo detiene il carcere di Como con un indice di affollamento intollerabile pari al 176 per cento. La regione più stipata è la Puglia con 3.211 detenuti per 2.347 posti che raggiunge in media un indice del 137 per cento di affollamento! Naturalmente ci sono anche situazioni cosiddette più normali, con indici di presenze meno preoccupanti qual’è per esempio la Sardegna. Ma ciò che conta nell’analisi di questi dati è che le statistiche a seconda del modo come vengono esposte, aggregando i dati o disaggregandoli a seconda delle convenienze della comunicazione, offrono quadri assolutamente diversi delle diverse realtà che si intendono descrivere. Per quanto si apprende dal mensile della Polizia Penitenziaria, “i dati del Dap andrebbero presi con le pinze e quel dato medio del 109 per cento di affollamento delle carceri italiane, non significa nulla, almeno per coloro che vogliono davvero capire qualcosa del sistema penitenziario italiano”.

Quando un carcere è sovraffollato, tutti (e non solo i detenuti…), subiscono una condizione di ulteriore penalizzazione: meno servizi, meno ore a disposizione per i colloqui con educatori, psicologi, meno tempo per l’utilizzo di attrezzature, per i corsi di formazione, drastica riduzione di spazi fisici insieme a pesanti disagi e super lavoro per coloro che lavorano nel carcere (personale civile e Polizia Penitenziaria). In una parola: minore sicurezza. Dati alla mano leggiamo che l’affollamento reale oggi in Toscana è del 115 per cento e che oltre il 76 per cento delle persone detenute nella regione vivono in una penosa condizione di sovraffollamento. Se gli stessi calcoli li riportiamo sul dato nazionale succede che la situazione peggiora ulteriormente. In Italia ben 131 carceri su 193, sono sovraffollate: in pratica il 68 per cento di quelle in funzione.

Sommando il numero dei detenuti in più rispetto alle capienze di queste 131 carceri, arriviamo alla cifra di 8.844 detenuti in eccesso che corrispondono a quasi il 18 per cento dei posti detentivi ufficiali. A conti fatti - continua l’articolo - si deve affermare che in Italia, al 30 settembre 2016, c’era una situazione di affollamento delle carceri del 118 per cento e non del 109 per cento come ottimisticamente affermato dai vertici del Dap e del ministero della Giustizia”.

In conclusione, quelli appena presentati sono calcoli e numeri che si discostano di molto dalle statistiche presentate dal Dap ed utilizzate dal ministero della Giustizia. Dati oggettivi attraverso i quali invece si dovrebbe iniziare a ragionare per migliorare il sistema penitenziario italiano. Sono anni che si attende da parte del ministero della Giustizia non l’ennesima promessa di un piano carceri, ma l’autorevole avvio di un programma ove siano previsti, insieme ad una più aggiornata filosofia dell’esecuzione penale, nuovi istituti, dismissioni di quelli vecchi e inadatti e seri programmi di riabilitazione comportamentale. Sono anni che scrivo, sollecitando con articoli, dibattiti ed anche attraverso i miei libri (“L’universo della detenzione” del 2011 e “Non solo carcere” del 2016), la creazione di un centro di pianificazione efficiente, composto da professionalità multidisciplinari, che abbia effettiva capacità di coordinare gli interventi da fare.

Sappiamo bene quanto sia difficile la situazione economica del nostro Paese in questo momento. Abbiamo cognizione di quante opere chiedano di essere compiute insieme alla manutenzione del territorio, del soccorso alle popolazioni terremotate, delle infrastrutture di trasporto e altro ancora. Ma sappiamo anche che la detenzione in Italia deve essere affrontata almeno attraverso una prima bozza di un serio piano strategico, tale da essere presentato alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo quando inevitabilmente richiamerà il nostro Paese, per censurarlo nuovamente per il modo come tuttora detiene uomini e donne nelle sue carceri. E in quel caso, a difesa dell’Italia, le statistiche contraddittorie serviranno a poco.

(*) Presidente Commissione Diritti della Persona privata della Libertà – Lidu Onlus

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:54