Mille giornalisti contro il “prelievo forzoso”

Mille e cento firme sui tavoli dei ministri dell’Economia (Pier Carlo Padoan) e del Lavoro (Giuliano Poletti) dei giornalisti che protestano contro il prelievo forzoso alle pensioni deciso dal Consiglio di amministrazione dell’Inpgi, sostituendosi al Parlamento. Tra i firmatari del manifesto-appello molti nomi storici del giornalismo italiano. Con un caso politico che mette in discussione la credibilità di Palazzo Chigi.

Il contributo di solidarietà sulle pensioni superiori ai 38mila euro lordi l’anno è stato approvato con l’avallo dei rappresentanti di Palazzo Chigi e del ministero del lavoro facenti parte del Consiglio di amministrazione dell’istituto. L’assurdo tecnico è che l’approvazione della riforma spetta ai ministeri vigilanti, i quali avevano bocciato lo scorso febbraio il precedente prelievo deliberato dal Cda il 27 luglio 2015. Cosa è successo? I giornalisti pensionati hanno già dato la loro solidarietà. Negli ultimi cinque anni l’Inpgi ha infatti incassato 30 milioni di euro per via della mancata applicazione della cosiddetta perequazione e per via del gettito del contributo Letta, che giunge al capolinea a dicembre (legge 147/2013) e applicato per tre anni ai pensionati con oltre 91mila euro l’anno.

Senonché il Cda dell’Inpgi ha deliberato il 28 settembre 2016 l’imposizione di un contributo straordinario di partecipazione al riequilibrio finanziario della gestione previdenziale sugli assegni percepiti dai giornalisti in quiescenza a partire dai 38mila euro in su, con l’obiettivo di incassare 19 milioni di euro in 3 anni. La decisione ha sollevato molti dubbi e tante proteste, ma è passata con due soli voti contrari (da parte di Carlo Chianura e Paolo Cascella) e il voto favorevole del segretario della Fnsi Raffaele Lorusso e i pensionati Giuseppe Gulletta, Paolo Serventi Longhi, Edmondo Rho. Hanno votato sì anche Antonio Funiciello, rappresentante di Palazzo Chigi, e Mauro Marè del ministero del Lavoro.

La vicenda è strana perché il ricorso al contributo di solidarietà non rientra nei poteri e nell’autonomia decisionale delle Casse autonome. Gli enti privati, ha spiegato più volte la Cassazione, hanno a disposizione un ventaglio di soluzioni (dall’aumento delle aliquote alla riparametrazione dei coefficienti e alla modifica dei criteri di calcolo dei trattamenti) per garantire l’equilibrio finanziario e per assicurare le prestazioni future. Non tenendo conto delle precise indicazioni della Cassazione, i due professori rappresentanti ministeriali hanno votato una decisione che sotto il profilo di legittimità (in quanto imposta da un atto non avente forza di legge e che incide su pensioni maturate e in pagamento) espone l’Inpgi ad un contenzioso dagli esiti per lo meno incerti. Perché allora hanno voluto forzare la mano e correre questo rischio? Si può supporre che abbiano la copertura da parte di Palazzo Chigi.

Ma qui si apre un caso politico. Il Cda dell’Inpgi con l’avallo dei due ministeriali non ha tenuto conto neppure delle decisioni della Corte costituzionale sui prelievi una tantum che hanno riguardato finora 1400 giornalisti che stanno pagando il contributo Letta, oggetto di numerosi ricorsi giuridici. Era convinzione comune che un Istituto di previdenza non avesse facoltà di operare prelievi forzosi sui trattamenti in quiescenza. Una convinzione rafforzata dall’astensione al voto, il 29 ottobre 2015, sulla riforma da parte della professoressa Fiorella Kostoris rappresentante del ministero del Lavoro nel Cda Inpgi, in considerazione “di possibili eccessi dal punto di vista costituzionale”.

Il provvedimento in conformità di quella motivazione era stato poi bocciato dai ministeri vigilanti in quanto atto non avente forza di legge. Inoltre, tre sentenze della Cassazione dal gennaio 2015 al giugno 2016 sembrava che avessero posto una pietra tombale sull’ipotesi di prelievo. Invece no. E per farlo Palazzo Chigi ha cambiato i due rappresentanti: Funiciello e Marè hanno permesso il ribaltone della decisione. Ora sul tavolo dei due ministri c’è l’appello contro il prelievo di 1.089 giornalisti (il numero di adesioni sta crescendo). Un numero altamente simbolico. Ma tutti si sono impegnati a ricorrere in massa alla Magistratura. È stato anche inviato un esposto alla Corte dei conti a nome dei 6.554 giornalisti coinvolti a partire dal gennaio 2017.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:52