Matteo Renzi:  il cantastorie

Renzi: “innovatore o novellatore”? Quelli come lui, in passato, prendevano il nome di cantastorie. Coloro, cioè, che convertivano in romanzo nazionalpopolare gli eventi storici effettivamente accaduti, illustrandoli attraverso semplici disegni e pitture a un pubblico ristretto, turbolento e rissoso del teatro dal vivo. Oggi, grazie alla tecnologia digitale e ai media, la stessa strategia passa attraverso “slides” e altre magie multimediali per essere comunicata a decine di milioni di spettatori che, al contrario di ieri, sono passivi, non interagenti e solo molto raramente chiamate a esprimersi con un voto popolare. Tuttavia, cambiano radicalmente i mezzi ma non gli scopi della comunicazione addomesticata, che rimangono sempre gli stessi, nel passato come nel presente: la falsa narrazione “ad usum delphini”. Non importa che sia vera, ma soltanto che l’ascoltatore ignaro la creda tale. Così, il mantra recitato da e per l’establishment di “Tout-va-bien-Madame-la-Marquise”, di cui la casta e Renzi ci hanno inondato a perdifiato, fino a toglierci ogni minimo spazio di riflessione e meditato silenzio, è stato miseramente cancellato alla prima piena elettorale. Infatti, i cantastorie finiscono simbolicamente al rogo, quando la stragrande maggioranza dei cittadini elettori soffre i morsi della crisi e della disoccupazione dilagante.

Né hanno aiutato il funambolo della parola le statistiche ammaestrate che non danno conto delle persistenti, pessime prospettive di lavoro per giovani e fuoriusciti cinquantenni, espulsi dalle attività produttive per delocalizzazioni, fallimenti, strozzinaggio da parte delle mafie criminali e della fiscalità generale. Il castello di carte dell’affabulatore non ha retto, infine, la tempesta dello scontento del cittadino comune che, a causa di una tassazione da record mondiale, paga a peso d’oro servizi pubblici da Terzo Mondo, confrontandosi quotidianamente con un welfare inesorabilmente declinante e con realtà urbane sempre più degradate, immiserite e violente, devastate da un’immigrazione incontrollata e disperata. Così, per tutti i suddetti motivi, Renzi ha subìto l’onta di un “No” oceanico che lo ha spinto a chiedersi come mai sia tanto odiato dagli italiani. Semplice: hanno capito il suo gioco. Perfido e perverso. Sottile, ma del tutto trasparente, intellegibile anche a un bambino.

Renzi ha cavalcato la teoria nuova di zecca della “post-verità” accusando gli altri di “populismo”, pur praticandolo fino in fondo con “mancette” preelettorali di ogni tipo, elargite ai diciottenni, agli impiegati pubblici, ai pensionati e a tutte le altre categorie che costituiscono gli azionisti privilegiati del suo Partito Democratico, statalista e anti-meritocratico. Il fiorentino (pessimo imitatore del Machiavelli, suo ben più famoso avo e concittadino) ha creduto di rompere l’accerchiamento populista dell’odio anti-establishment, tentando di auto-riferirsi un auspicato successo oceanico di un “Sì” che si voleva anticasta. Cosa che lo avrebbe accreditato come leader di caratura mondiale, alla stregua della Merkel di cui aspirava a candidarsi come successore, grande riformatore e ricostruttore di una Unione rinnovata. Il suo gioco di magia è stato di voler disputare una finta partita anti establishment per creare dal nulla una nuova casta privilegiata di rottamatori-normalizzatori.

Infatti, il laboratorio politico renziano intendeva dare vita al prototipo di una nuova classe di mediatori “illuminati”, cerniera esclusiva tra potere e popolo, privando contestualmente quest’ultimo degli strumenti democratici di selezione delle élite dal basso, con la fondata convinzione che tutto ciò non servisse più: bastava affidare anima e matita copiativa nelle mani dei nuovi “eletti”! Il piano era ben congegnato, in fondo, da quelle menti fini che stanno nei santuari finanziari che governano il mondo: una volta approvata la riforma costituzionale Renzi-Boschi maritata all’Italicum e a un Senato telecomandato dagli eletti locali del Pd, il controllo sull’intero sistema politico-economico italiano sarebbe stato totale. Grazie a un Parlamento limitato a una sola Camera, una volta ottenuta la fiducia, il Governo avrebbe preso possesso di tutte le leve del potere, nominando propri fiduciari nei posti di comando dello Stato, come degli Enti economici più importanti e delle banche.

Il nuovo capo del Partito della Nazione avrebbe così potuto far eleggere a proprio piacimento i Presidenti della Repubblica, riformando a maggioranza semplice la Costituzione laddove ritenuto opportuno e politicamente conveniente, facendosi poi approvare le modifiche con campagne referendarie demagogiche e populiste. Questo e molto altro avrebbe potuto fare il nuovo Leader Maximo, se la saggezza popolare non lo avesse fermato per tempo, ostacolando forse per sempre le oligarchie che pretendono di governare il mondo con la forza del denaro.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:52