Quaranta per cento, ma non scherziamo

La ragione principale per cui il quaranta per cento ottenuto al referendum non è, ne potrebbe essere l’attuale consistenza elettorale renziana, è una sola e non riguarda l’apporto dato dagli alleati. Nel quaranta per cento, infatti, c’è stato almeno il dieci per cento di sostenitori opportunisti, interessati, arrivisti, ruffiani, che oggi già guardano altrove. Si tratta di una platea di cui Matteo Renzi ha amato circondarsi ben sapendo di poterla far brillare di luce riflessa, personaggi insomma che si avvicinano al sole fintanto che c’è e che scalda. Gente, in buona sostanza che si accosta al potere con l’esclusivo interesse di beneficiarne in qualche modo, potremmo fare un lungo elenco di nomi, ma sfonderemmo una porta aperta.

Ecco perché l’analisi che Luca Lotti ha fatto sul risultato conseguito al referendum, più che sbagliata è ridicola, comunque sia se sta bene alla “corte del regno silurato”, sta bene a tutti. Lotti avrebbe dovuto fare tutt’altra riflessione, a partire dal significato politico, sociale e culturale della sconfitta di domenica scorsa. Non v’è dubbio, infatti, che la bastonata presa da Renzi abbia radici molto più profonde e diverse dalla generica definizione di “accozzaglia” contro la riforma costituzionale. Tanto è vero che il voto contrario ha rappresentato tutti i segmenti sociali, a partire dai giovani. Infatti, le nuove generazioni oggi guardano con interesse al modello Steve Jobs, a chi cioè partendo con fatica dal niente ha saputo con generosità e volontà creare un polo imprenditoriale enorme.

Non solo, ma guardano a chi, come Steve Jobs, nonostante la ricchezza e il successo, abbia saputo distribuire i benefici, mantenendo i piedi per terra. Renzi è l’esatto opposto, non ha faticato un bel niente per arrivare a Palazzo e una volta entrato l’ha trasformato in un regno personale da dove impartire ordini e diktat. Come se non bastasse, il Premier non ha perso un minuto nell’usare e abusare, seppure lecitamente, dei privilegi imperiali che la carica gli consentiva: aerei, elicotteri e viaggi nel mondo con al seguito corti da mandarino cinese.

Insomma, l’esatto opposto di quanto un Premier giovane, misurato, sobrio e consapevole degli sguardi pubblici, avrebbe dovuto fare per dare esempio ai milioni di ragazzi in cerca di futuro. Oltretutto Renzi, con il Jobs act ha chiaramente fatto intendere di voler favorire Confindustria e non certo i ragazzi italiani, ecco perché non ha funzionato e un’ enormità dei nostri figli gli ha votato contro. Altrettanto ha fatto una gran parte degli italiani moderati, ai quali Renzi anziché un messaggio di novità e attenzione politica, ha inviato un segnale di utilizzo del potere per porre e disporre a piacimento. Lo ha fatto con le nomine, con gli incarichi, con il giglio magico, insomma, ovunque abbia potuto utilizzare le prerogative da Premier per lottizzare e occupare. Per non parlare del segnale che ha diffuso nel Paese, soprattutto nel mondo degli autonomi, artigiani, piccoli imprenditori e commercianti, facendosi vedere sempre a braccetto con Sergio Marchionne, Oscar Farinetti, Luca Cordero di Montezemolo e quanti altri di un ghota lontano dai comuni mortali.

In un momento storico in cui il Paese reale è alle prese con drammaticità uniche, Renzi si è fatto fotografare sulle piste di Courmayeur, sulle spiagge cubane mentre faceva jogging scortato, ai pranzi sfarzosi di autofinanziamento, insomma a frequenti momenti di lusso e privilegio. Dulcis in fundo ai moderati di centrodestra, che voleva accalappiare sfilandoli a Silvio Berlusconi, ha comunicato solo il vantaggio del tradimento politico, utilizzando Denis Verdini e Angelino Alfano per sostenere il Governo. In buona sostanza non ne ha azzeccata una di mossa politica e sociale, che fosse stata utile a guadagnare la stima e il consenso della gente. Da ultimo lo stile personale gonfio di arroganza e tracotanza nei confronti di chiunque fosse contrario a lui. Insomma, ha inviato un messaggio collettivo che anziché unire sforzi ed entusiasmi si è trasformato in una sequela di contraddizioni, incoerenze e opportunismi, gli stessi che lui per primo ha elargito con regalini, mancette e bonus indirizzati ad hoc. Ecco perché Luca Lotti farebbe bene a riflettere sui numeri del “No” piuttosto che su quelli del “Sì”, se ne faccia una ragione, ci studi sopra per un po’ e forse comincerà a capire i motivi della sconfitta e la realtà del Paese. Buon lavoro.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:50