Il vapore acqueo, il Pd e l’ipocrisia storica

Vapore acqueo, l’unico in grado di creare la nebbiolina dietro la quale nascondere sia Matteo Renzi che i veti delle correnti nel Partito Democratico in lotta. Del resto Paolo Gentiloni, nel bene e nel male, non è niente. Non è un politico puro, non è un tecnico, non è un self made man; è insomma il prototipo della persona qualunque che, meglio di altri, sfuma l’orizzonte della mediocrità. Per questo è stato scelto. Nessuno, infatti, più di lui, avrebbe potuto in questa fase garantire il gattopardo che vince. L’ex giovane di Lotta continua nel corso degli anni si è più volte evoluto verso il pensiero cosiddetto moderato e pur restando nel “sinistra disegno” si è distinto per una pacatezza tanto incolore quanto innocua. Un cattocomunista modesto e fortunato.

Insomma, Gentiloni Premier va bene al Pd, alla maggioranza di Governo, va bene a Renzi, che se ne buggera di tutto e va bene a Sergio Mattarella. Perché sia chiaro, l’unico obiettivo di Renzi, ma anche del Pd, non è stato quello di ascoltare la voce popolare che li ha sonoramente bocciati, ma di mantenersi in sella per covare la rivincita. Tanto è vero che il nome di Gentiloni è il frutto di “un’ipocrita” mediazione fra le correnti del Pd, in attesa di lucidare il filo delle sciabole verso il duello finale per la conquista della segreteria.

In buona sostanza, dopo il voto referendario nulla doveva cambiare e nulla è cambiato, sta tutta qua l’ipocrisia di chi ha invocato il giudizio popolare e quando l’ha ottenuto se ne è infischiato spudoratamente. Va da sé, infatti, che in qualsiasi altro Paese normale una bastonata del genere avrebbe generato uno sconquasso tale da portare rapidamente, con un Premier istituzionale, i cittadini al voto. Al contrario da noi si fa finta di niente e con tutte le scuse del mondo, anziché pensare al calore dell’acqua che bolle nel Paese, si utilizza il vapore acqueo che genera per offuscare la batosta elettorale.

Diciamocela tutta, per modificare la Legge elettorale ci si poteva mettere a lavoro dal cinque dicembre per adeguarla, anziché appellarsi ai tempi della Corte fissati per la fine di gennaio. Un modo insomma per guadagnare due mesi nulla facendo. Non solo, ma trascorsi questi mesi si inizierà un interminabile litigio intorno al modello elettorale da scegliere, per tirare avanti il più possibile con la legislatura. Come se non bastasse, si sono tirate in ballo le scadenze europee del 2017, gli arcinoti guai del Monte dei Paschi di Siena e delle banche, il G7 di maggio a Taormina e via dicendo.

In buona sostanza, si è voluto far credere che l’importanza delle evenienze è tale da non poter anticipare a marzo le elezioni politiche, come se tutto ciò non fosse noto prima del voto referendario. Eppure siamo certi che se avesse vinto il “Sì”, Renzi in un battibaleno ci avrebbe condotto alle urne per capitalizzare definitivamente il trionfo personale, sbaragliando minoranza, dissidenti, oppositori. Ecco perché siamo al vapore acqueo, all’ennesima ipocrisia della politica, all’ennesimo gioco di Palazzo, al quarto Governo non eletto, all’immancabile teatrino italiano. Ma quello che più sbalordisce è il menefreghismo nei confronti del referendum, del risultato del voto, del sentimento popolare. Scriteriatamente si trascura la reazione che seguirà al varo del Governo Gentiloni. Non solo i Cinque Stelle cresceranno ancora, ma la disaffezione e la sfiducia dei cittadini, da Nord a Sud, nei confronti della classe dirigente, raggiungerà livelli di pericolosa guardia. Qui non si tratta di fare i conti a tavolino per andare al voto solo quando si sarà certi di sconfiggere Beppe Grillo con qualche santa alleanza, si tratta di sfidare la pazienza, il buon senso, l’esasperazione degli italiani. Sta tutta qua la catastrofe nella quale Renzi e il Pd hanno trascinato il Paese in questi anni, a partire dall’ultima elezione del 2013. Una catastrofe nata dalle lotte interne di potere, dalle sfide fra correnti, alleanze incoerenti e maggioranze transfughe, un pasticcio d’ipocrisie e onnipotenze da far impallidire la vecchia balena bianca.

Insomma, la crisi del Paese sta tutta dentro la metamorfosi infinita nata dalla fusione cattocomunista del dopo Tangentopoli, iniziata con Romano Prodi e proseguita fino a Matteo Renzi. Potremmo dire dal Pci al Partito della Nazione fino al Patto del Nazareno, passando per la Quercia, l’Unione, l’Ulivo e quanto altro possibile pur di camuffarsi e restare al potere a dispetto di tutti. Altro che colpa di Silvio Berlusconi e della sua discesa in campo, l’Italia è entrata nel pantano da quando i cattocomunisti, comunque fusi e rappresentati, hanno puntato al governo del Paese a seguito del crollo del muro di Berlino e di Tangentopoli. In quel mucchio ci stanno tutti: Prodi, D’Alema, Veltroni, Bindi, Napolitano, Franceschini, Fassino, Castagnetti, Bersani, Letta, il meglio della Prima Repubblica.

Berlusconi li ha fermati ma non è stato capace di tenerli a distanza, anzi si è fatto blandire, suggestionare e spesso convincere, sperando nei vantaggi personali che qualcuno al suo fianco gli prometteva. Questa è stata la grande colpa del Cavaliere, inciuciare con i cattocomunisti, ecco perché la rivoluzione liberale non gli è riuscita e l’Italia è tornata nelle loro mani. Lo stesso inciucio che Berlusconi ha fatto col Patto del Nazareno, con i risultati che vediamo, un’Italia allo sbando e i cattocomunisti a dirigere l’orchestra e rovinare il Paese. Con l’aggravante pericolosa che mentre s’infrangeva il sogno liberale di un Paese emancipato dalla tenaglia clerico sovietica e il centrodestra svaniva tra un tradimento e l’altro, Grillo veniva su come panna montata. Oggi l’unico vero antagonista al cattocomunismo è lui, Beppe Grillo, i pentastellati con un consenso del trenta per cento, che continua a crescere e crescerà. Ecco perché sperano in Gentiloni, sperano ancora di falsificare la realtà con la neutralità colpevole di un pezzo di centrodestra pronto a collaborare. Ecco perché l’ex Pdl non si riunirà mai più, per come avremmo voluto e pensato, ecco perché Renzi prende tempo per farsi la santa alleanza contro Grillo. Forza Italia doveva affiancarsi a Salvini e Meloni e fare fuoco e fiamme per votare subito dopo le sentenze della Corte, con un Governo guidato dal Presidente del Senato e non dal gemello di Renzi.

Basta scorrere l’elenco dei ministri per capire quanto sia cambiato e quanto abbiano capito il messaggio del voto referendario. Roba da far invelenire pure i Santi. Con questo Governo i cattocomunisti hanno superato ogni limite del pudore, ma sbagliano, si sbagliano, c’è Grillo che offre e stappa champagne e molti altri che, stufi davvero, alla fine gli faranno volentieri compagnia. Molto volentieri.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:55