Televisioni in affanno

Il mondo della televisione è in forte tensione. Il virus del malcontento e del malessere colpisce a vario titolo la Rai, Sky e Mediaset.

I mali della Rai sono profondi e vengono da lontano. Non c’è soltanto la bocciatura del piano editoriale predisposto da Carlo Verdelli e dalla sua struttura. Era già stato affossato il piano Gubitosi. I vertici di viale Mazzini cercano di tirarsi su con l’ennesima spallata di Sanremo per la cui presentazione hanno assoldato Maria De Filippi per affiancarla a Carlo Conti. Un’altra sforbiciata all’immagine dell’azienda del servizio pubblico. I problemi della Rai non riguardano le singole persone, ma le scelte di fondo che o non vengono fatte oppure vengono rinviate, come l’analisi della permanenza di una struttura complessa e pletorica come Rainews e l’inamovibilità delle strutture della testata per l’informazione regionale, concepita nel 1979 quando era un’altra epoca politica ed economica.

Il discorso è allora legato all’assetto istituzionale del gruppo con tre canali televisivi generalisti, tre canali radiofonici, una infinità di altri canali, telegiornali copia e incolla per tutta la giornata. Tredicimila dipendenti, di cui quasi 2mila giornalisti, strutture fatiscenti e obsolete nell’epoca del digitale, tanto che quando un cronista si reca su un luogo di un incidente, dell’emergenza neve o terremoto, si serve di appalti esterni di ditte che già possiedono lo “zainetto di trasmissione e montaggio” che si sposta rapidamente da un luogo all’altro.

Durante il dibattito sul piano Verdelli, il consigliere Arturo Diaconale ha presentato un contro-piano con una prima osservazione: “La de-romanizzazione della Rai nasce da un presupposto culturale profondamente sbagliato. Milano continua ad essere la capitale economica (ma non più morale del Paese), ma il modello culturale di cui si è fatta portatrice dagli anni Novanta in poi non è più quello delle grandi famiglie industriali artefici del miracolo economico, bensì quello dei ristretti circoli milanesi del consumismo trasgressivo dei privilegiati con effetti devastanti sulla capacità di rappresentazione del Paese da parte del servizio pubblico”.

Diaconale proseguiva affermando che “il cambiamento e l’innovazione della Rai sono indispensabili. Tanto più che il probabile futuro dell’azienda pubblica non è più quello della competizione rassicurante in un sistema sostanzialmente domestico e duopolistico ma quello di uno scontro continuo con aziende multimediali dalle dimensioni internazionali”. Cambiare e innovare ispirandosi ad una intuizione diretta a conseguire obiettivi positivi, con strumenti appropriati.

Il riscontro del disagio di impostazioni sbagliate arriva dall’agitazione dei giornalisti di Rai Sport, con emorragia di ascolti per quasi tutte le trasmissioni storiche in onda sulle reti generaliste e la crisi dei canali tematici Rai Sport1 e Rai Sport2, con quest’ultimo fotocopia del primo mentre la promessa digitalizzazione della testata non è neppure iniziata. Da questa serie di problemi è arrivata la sfiducia al direttore Gabriele Romagnoli, assunto dall’esterno.

La Rai di Antonio Campo Dall’Orto e Monica Maggioni è in affanno maggiore di quello di Anna Maria Tarantola e Gubitosi. Ha davanti molte sfide, a partire dal rinnovo della convenzione con lo Stato alla gestione dei prossimi appuntamenti politici.

Se per ora non è andato in porto il trasferimento del Tg2 a Milano, è Sky che vuole traslocare al nord dopo l’ottimizzazione dei nuovi impianti nel capoluogo lombardo. Era da circa un anno che si rincorrevano le voci di un trasloco della sede di Sky Tg 24, il telegiornale diretto a Sarah Varetto che trasmette da via Salaria in Roma dove lavorano circa 600 persone, di cui 130 giornalisti. All’inizio della settimana prossima si terrà, presso l’Unione industriali della Capitale, un incontro chiarificatore tra l’amministratore delegato Andrea Zappia, il Comitato di redazione e i rappresentanti dei sindacati. L’incontro dovrà chiarire il futuro della sede di Roma, dove erano stati fatti importanti investimenti tecnologici.

Non vivono giornate tranquille neppure i dipendenti di Mediaset, dopo l’assalto operato da Vivendi dell’imprenditore bretone Vincent Bolloré. Il braccio di ferro continua con fuoco di sbarramento, minacce di Opa, ricorso in Tribunale, interventi di banche, amici e Consob. In questi giorni c’è un personaggio felice e orgoglioso dei 25 anni della testata che dirige: è Clemente Mimun forte del boom di ascolti e pubblicità. Il nuovo telegiornale ha una impronta più politica (62 giornalisti compresi i collaboratori, 4 uffici di corrispondenza).

Aggiornato il 07 aprile 2017 alle ore 18:11