Ma è tutta colpa della Bolkestein?

Le recenti manifestazioni dei commercianti contro la direttiva Bolkestein ripropongono una recita politico-mediatica tante volte andata in scena nelle ultime “stagioni”. È quella di prendersela con l’Europa, la burocrazia europea e la Germania della cancelliera Angela Merkel; e – che è lo stesso – addebitare a quei soggetti la responsabilità di decisioni impopolari, prese invece a Roma, da organi e uffici italiani. E l’“affare” Bolkestein è tra questi. Il tutto conseguirebbe dall’articolo 12 della Direttiva Bolkestein, per cui qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato a causa della scarsità delle risorse naturali, gli Stati membri devono applicare una procedura di selezione tra i candidati potenziali che presenti garanzie di imparzialità.

La direttiva parla di “risorse naturali scarse”, mentre il legislatore nazionale al IV comma dell’articolo 70 l’ha estesa ai posteggi su aree pubbliche, che non sono “risorse naturali scarse”, perché non sono “risorse naturali” e neanche “scarse” dato che possono essere acquisite aree alla bisogna, ove insufficienti quelle disponibili, attraverso attrezzatura di aree pubbliche o espropriazioni di aree private (costruendo i mercati che sono opere – pubbliche – d’urbanizzazione).

La normativa europea prevede che le concessioni siano di durata limitata e rilasciabili solo con una gara, ove vi sia necessità per scarsità di “risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili”; tuttavia nell’applicazione italiana di tali direttive, alla fine sono risultate sottoposte al regime, previsto in Europa, principalmente per limitazioni naturali dovute a risorse scarse, ai posteggi su aree pubbliche, strade, piazze e mercati che non sono “risorse naturali” ma costruzioni artificiali. Da qui le proteste, rinnovate, degli operatori commerciali, e la solita pièce politica mediatica: è tutta colpa dell’Europa. Viva l’autarchia.

La realtà è diversa: anche se l’Europa ha qualche colpa, per la classe “dirigente” italiana rappresenta un beneficio evidente: è il capro espiatorio ideale cui addossare in parecchi casi i propri errori, inciuci, favoritismi (e altro). Una élite dirigente legittima e consentita non ha bisogno di certi espedienti: si assume la responsabilità (e i meriti) di quello che fa. Ma dato che questa élite è in decadenza, pusillanime e imbrogliona e di meriti da vantare ne ha proprio pochi, le è ghiotta l’opportunità di addebitare ad altri buona parte dei propri insuccessi e delle relative decisioni.

Così, quando si devono prendere provvedimenti impopolari ed errati, questi sono - come si esprimeva un governante - “compiti a casa”, perché, spiegano i media, “ce lo chiede l’Europa” (ora con la variabile “impone” al posto di “chiede”). Si suggerisce e talvolta si afferma esplicitamente che i leader europei sono i cattivi delle favole, dei film o dei fumetti: Juncker come Lex Luthor, Bolkestein è Lord Fener, mentre la bistrattatissima Merkel è la strega cattiva di Biancaneve. Ma se nella recita rappresentata la leggiadria di qualche ministra le assicura il ruolo di Biancaneve, non si sa a chi assegnare quello dei sette nani, perché i simpatici bassotti sono minatori (quindi lavoratori) coraggiosi e sinceri: qualità che da sole e tantomeno associate è ben difficile trovare tra i nostri governanti.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:43