“Voucher, il Governo ha terrore del popolo”

sabato 18 marzo 2017


Sono passati quindici anni da quando le Brigate Rosse hanno ucciso Marco Biagi: “Una persona straordinaria” che vale la pena raccontare e che ha dedicato la sua vita a un tema, quello del lavoro, che resta ancora oggi molto complesso. Difficile capirci qualcosa senza un Virgilio che chiarisca e commenti quanto accaduto negli ultimi giorni e quanto sarebbe potuto accadere nel referendum sui voucher. Bene, il nostro Virgilio, la nostra guida, è l’ex ministro Maurizio Sacconi, oggi senatore del Nuovo Centrodestra e presidente della Commissione Lavoro a Palazzo Madama. Quando prende la parola, Sacconi cerca di spiegarsi nel modo più semplice possibile. Parla del suo “Libro Bianco”. Spiega cos’è e a cosa serve il welfare della persona. Racconta cosa non lo convince della legge delega sulla povertà appena approvata dal Parlamento e avverte: “Il sussidio, in alcuni casi, può far male o può incoraggiare assuefazione alla passività”.

Quindici anni fa moriva Marco Biagi. Che ricordo ha di lui?

Ricordo una persona straordinaria.

Che tipo era?

Era dotato di solidi principi e allo stesso tempo orientato a progettare e ad agire muovendo da un’idea di lealtà. Guardava al mercato del lavoro per come era e cercava i modi con i quali renderlo più inclusivo e più giusto con molto senso pratico. Aveva forte in sé il principio dell’inclusione e della giustizia sociale attraverso il lavoro, ma questo principio lo declinava con grande pragmatismo: riteneva che si dovesse sempre partire dalla realtà.

Cosa pensa della legge delega sulla povertà appena approvata in Parlamento?

Penso che abbia un’ambiguità di fondo. Giustamente prevede la presa in caso delle persone in condizione di bisogno attraverso i comuni e il terzo settore. Ma questo elemento non basta se vogliamo evitare la trappola della povertà e dell’inattività. Se vogliamo che ciascuno si ponga nella condizione di provvedere a se stesso, dobbiamo collegare il sussidio all’azione del volontariato di prossimità. Dovrebbe essere quest’ultimo a decidere l’erogazione o meno del sostegno.

Quali potrebbero essere i rischi?

Se una persona vive in una condizione di dipendenza da droghe, alcool, gioco, l’assegno che arriva a casa per posta è facile immaginare dove finisca. Il sussidio, insomma, in alcuni casi può far male o può incoraggiare assuefazione alla passività. In questi casi meglio l’introduzione di buoni per accedere alla soddisfazione di bisogni primari o premi al lavoro, quando fonte di un reddito inferiore alla soglia della non tassazione.

Lei in Senato si è astenuto, perché?

Da un lato ho riconosciuto che si destinavano importanti risorse alla povertà, ma dall’altro ho contestato ciò che le ho appena detto. Ho riconosciuto questa ambiguità che non scioglieva il nodo fra due approcci: quello elitario, giacobino tipico dei Paesi nordici in cui l’individuo viene visto come entità isolata e il mio. Per me la povertà si contrasta con il calore relazionale. E questo calore non lo dà l’impiegato dell’Inps che spedisce l’assegno, ma lo danno il volontariato, i corpi sociali che accompagnano la famiglia a uscire da una situazione di disagio.

C’è chi in Italia chiede meno Stato, meno tasse e meno spesa. Quale potrebbe essere un riforma del lavoro liberale che riduca l’invadenza della cosa pubblica? Esiste un’alternativa ai sussidi?

Sì. Esiste da un lato l’idea che abbiamo descritto nel “Libro Bianco”: un premio al lavoro. Quando il lavoro non consente una vita dignitosa, allora può subentrare un premio legato alla volontà di lavorare, di non attendere le risposte dagli altri, ma di adoperarsi per essere nel mercato del lavoro. L’altra soluzione può consistere nell’erogazione di buoni per accedere ai bisogni primari.

Nel “Libro Bianco” parla di welfare della persona, ce lo può spiegare?

Abbiamo immaginato che in una società complessa come la nostra dobbiamo poter disporre di un welfare che si adatti agli specifici bisogni della persona. In caso di non autosufficienza è necessario che il sistema di protezione sociale si adatti a questo suo primario e fondamentale bisogno: essere assistito.

I voucher, teorizzati proprio da Biagi, erano stati pensati per far riemergere il lavoro nero. Andavano difesi?

Assolutamente sì. Erano strumenti di emersione di prestazioni che altrimenti sono condannate al nero.

E i lavoratori da che parte sarebbero stati?

Onestamente credo che un lavoratore non si lamenti del voucher in sé. Si lamenta magari del fatto di non aver trovato un occupazione più robusta, ma non del fatto che quella prestazione di uno-due giorni possa essere remunerata a voucher. Allo stesso tempo credo che bisognerebbe tornare a una disciplina molto più flessibile dei contratti di lavoro intermittente.

Perché il governo ha voluto evitare il referendum?

Il governo sembra avere terrore del popolo. Io sono convinto invece che sarebbe stato possibile, attraverso una campagna di verità, portare le persone a votare nel modo giusto. La volontà di cancellare i voucher è tutta astratta. È tutta ideologica. E ci riporterebbe indietro di vent’anni.

Cosa ne pensa del reddito di cittadinanza?

Dobbiamo trattare con molta cautela i sussidi perché possono diventare delle trappole.

L’economia digitale rappresenta un male irreversibile per l’occupazione?

Dobbiamo rifiutare la prospettiva per cui molti dovrebbero essere esclusi dalla nuova economia digitale. Non credo che questo destino sia scontato. Credo che dipenda dai decisori istituzionali e sociali che possano ancora agire per una società attiva ad alti tassi di occupazione.

Si tratterebbe di intervenire e comprendere una nuova rivoluzione industriale...

Vede, non è scontata la sostituzione degli uomini con le macchine. Vecchi lavori scompaiono e nuovi lavori si possono produrre. In ogni rivoluzione industriale sta a chi governa fare in modo che non si determini, per coloro che fanno impresa, un sentimento di paura.

La cassa integrazione secondo lei è ancora attuale?

Credo di sì. Nella sua riforma attuale si collega a bisogni temporanei dell’impresa o a progetti di ristrutturazione.

Alla luce di tutto quello che sta accadendo oggi, non era meglio mantenere attiva la Legge Biagi?

Certamente sì. Penso che la Legge Biagi sia stata un’ottima legge. Che abbia dato grandi risultati, un esito in termini di occupazione molto superiore a quello del Jobs Act con i suoi 20 miliardi di euro.

Cioè?

Quel po’ di occupazione in più che si è prodotta è costata ben 20 miliardi. Allora, invece, producemmo un effetto di crescita dell’occupazione senza spendere un euro.


di Michele Di Lollo