Nell’anniversario della nostra Unità

Il 17 marzo del 1861 il Parlamento riunito a Torino proclamava il Regno d’Italia. Benché ancora incompiuta (mancavano Venezia, Roma Trento e Trieste), l’Unità era fatta.

Un vezzo stolto e irragionevole ha, in questi ultimi decenni, cercato di irridere a questo evento della nostra storia, di demonizzarlo e farne la causa dei mali del Sud e, al contrario, del Nord. “Dir male di Garibaldi” è divenuta una tiritera dei meridionalisti d’accatto.

Certo, la classe politica che aveva fatto l’Unità, pur d’elevatissimo livello, non seppe affrontare adeguatamente i gravi problemi economici che ne derivarono. Cavour, primo artefice di quel miracolo, nell’ultimo suo discorso parlamentare (sull’unificazione doganale) avvertì che gravi erano per le popolazioni meridionali le conseguenze dell’unificazione economico-doganale, ma che essa non poteva essere elusa. E disse che occorreva utilizzare tutte le risorse che il nuovo regime offriva per rimediare a ciò e promuovere la rinascita del Sud. Morì di lì a poco. Cavour era, pressoché il solo tra gli uomini del Risorgimento, padrone della materia economico-finanziaria. Altri, cui pure tanto doveva il processo unitario, provocarono autentiche sciagure nell’economia. Il nostro Paese ha poi conosciuto, con l’aberrazione della dittatura e del fascismo, quella della politica economica “autarchica” che ha impoverito l’Italia facendola retrocedere nel suo processo di industrializzazione e non solo in quello. Dopo la catastrofe della Seconda guerra mondiale, l’apertura dei traffici internazionali e la Comunità europea hanno consentito il “miracolo economico”: un progresso nel settore industriale senza precedenti.

L’Unione europea fu voluta e fondata da uomini politici di grande livello dei vari Paesi europei. Purtroppo, come l’Unità italiana era stata gestita da politici poco padroni dell’economia, l’Unione europea nel suo sviluppo fu considerata materia da economisti piuttosto che per autentici politici, del resto venuti presto a mancare. La crisi dell’Europa di oggi direi che è la conseguenza di un processo di costruzione e di allargamento gestito da economisti con una visione solo economicista, anziché da politici di livello. Le conseguenze si vedono. E si aggiunge il peggio: sopravvengono politicanti da strapazzo che, in nome di un’economia di cui capiscono ancor meno pretendono di demonizzare la nostra Europa. Che, oramai, è qualcosa dalla quale non si torna indietro. Tra qualche giorno sarà l’anniversario del Patto di Roma, della fondazione dell’Unione europea. Due anniversari di eventi di un unico processo. Nessuno ci venga a sbandierare la “sovranità” contro l’Europa. Ci teniamo cara la nostra unità nazionale che solo gli imbecilli possono maledire. E ci teniamo quella europea, che la completa e la garantisce. Certo, vogliamo un’Italia migliore per tutti gli italiani. E un’Europa migliore per tutti gli europei. Questa è la strada aperta avanti a noi.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:45