Riforma penale: crimine in Parlamento

Ancora una volta, la politica ha fatto fuori in un sol colpo le forme della democrazia e la sostanza dello Stato di diritto. Lo ha fatto con il voto di fiducia posto al maxiemendamento sostitutivo del disegno di legge di riforma del codice penale. Come ormai è la norma in Italia, del crimine in questione forse non si è accorto neppure chi l’ha messo in atto.

Dal punto di vista delle regole del gioco democratico, approvare una riforma del processo penale attraverso un voto bloccato vuol dire aver forse garantito la vittoria di una partita politica (magari interna allo stesso partito di maggioranza), ma al prezzo di quello che dovrebbe essere il metodo di operare connaturale al Parlamento: la discussione e deliberazione per parti separate, tanto più rilevante ed essenziale nella materia penale, che riguarda la nostra libertà personale. Le recenti critiche nel 2014 della Corte costituzionale, a proposito di un maxiemendamento sostitutivo di un disegno di legge di conversione di un decreto che modificava le pene per spaccio di stupefacenti, non sono tornate alla mente ai legislatori.

Quel che è ancora più grave, nel merito, col voto in blocco i senatori hanno fatto passare, tra le altre cose, la riforma dei tempi di prescrizione, che vengono estesi fino a un totale di tre anni tra primo grado e appello. L’allungamento dei tempi, si dice, risponde a una necessità: ci sono tante inchieste e sono pochi i processi che fanno in tempo ad arrivare a conclusione. Il che è come dire che per combattere il crimine bisogna depenalizzare i reati.

L’idea che la prescrizione oltraggi la funzione della pena e che se i processi non arrivano in tempo a conclusione la soluzione sta nell’allungarli è una deformazione giustizialista del diritto penale, tanto più inconcepibile quanto più il sistema processuale è improntato a istituti che consentono agli amministratori della giustizia di essere, di fatto, esonerati da ogni responsabilità circa il proprio operato.

Paradossalmente, più emergono “scandali” risoltisi in nulla di penalmente rilevante, più l’arma dell’indagine e del processo viene brandita. In un clima così feroce, l’allungamento dei tempi di prescrizione non è la cura, ma un veleno che ancor di più intossica il già malato sistema penale italiano.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:45