La moneta cattiva  scaccia la buona

In economia c’è una legge che resta così fissata nella memoria che non la si dimentica mai. È la legge di Gresham, mercante e banchiere inglese del XVI secolo, che teorizzò quella che, nei secoli successivi, fu ricordata come la “legge della moneta cattiva che scaccia la buona”. È una legge abbastanza semplice da spiegare perché nel secolo in cui visse il banchiere circolavano sia monete di bronzo ma anche d’argento e d’oro. Era abbastanza pacifico che le monete d’argento e quelle d’oro (moneta buona), avendo un valore intrinseco per il metallo utilizzato, venissero tesaurizzate facendole scomparire dalla circolazione dove imperava la moneta cattiva di bronzo.

È ciò che è avvenuto con l’attuale classe politica, che viene rifiutata, quasi in blocco, dall’opinione pubblica perché è considerata “moneta di scarso valore”, e viene pertanto dileggiata, attaccata e vilipesa senza alcun risparmio, mentre la “moneta buona”, in larga misura, non è più attratta dall’impegno politico, provocando con ciò un abbassamento del livello della classe dirigente. Personalmente si sono salvati dal pubblico ludibrio, ma il Paese ne soffre molto. Ma perché ciò è avvenuto? Quali sono i motivi che hanno determinato gli effetti della legge di Gresham?

Ricondurre tutto alla forte corruzione disvelata nel nostro Paese sarebbe un errore perché la corruzione è solo un effetto e non la causa dell’imperversare della moneta cattiva che messa in circolazione alimenta la stessa che esiste, da tempi immemorabili, con anzianità pari al mestiere più antico del mondo, com’è documentato nel Codice Hammurabi di 4/5mila anni fa. Si può ben dire che essa ha accompagnato l’uomo fin da quando lo stesso si è organizzato con i suoi simili. Periodicamente la corruzione ha picchi altissimi nella società, ma ogni volta, nelle varie epoche, l’uomo è riuscito a combatterla e a ridurla a fenomeno residuale e non allarmante.

E allora come è potuto accedere che la moneta cattiva sia riuscita a scacciare la buona? Diverse, per la verità, sono le cause che, comunque, sono tra loro complementari. L’azione della magistratura di sconfinamento nel recinto di altro potere, il ruolo dei media nella diffusione amplificata delle notizie, l’uso di massa, in questi ultimi vent’anni, dei social network e la nascita dei cosiddetti movimenti populisti sono tra le cause principali. Ma andiamo per ordine.

La magistratura ha attivato il processo quando con “Mani pulite” ha decimato i gruppi dirigenti dei partiti facendo emergere le seconde e terze file degli stessi partiti. La caccia spietata contro politici come Giulio Andreotti, Bettino Craxi e poi Silvio Berlusconi, con teoremi veri e propri è stato l’antipasto, continuato senza soluzione con gli avvisi di garanzia un tanto al chilo che, quasi regolarmente, vengono smentiti dai processi. È chiaro che il mondo politico è diventato un mondo pericoloso e viene sempre più evitato da intellettuali e professionisti, da tecnici di qualità e da economisti veri, gente di cui il Paese avrebbe estremo bisogno ma che preferisce tenersi alla larga.

A questa fuga dall’impegno politico ha contribuito anche la stampa che, invece di essere il cane da guardia della democrazia, si è ridotta nel corso degli anni a fare da megafono alle scorrerie giudiziarie esaltandone le gesta e aizzando l’opinione pubblica (in proposito vi è una “confessione” di Piero Sansonetti riportata nel suo libro “La sinistra è di destra” che racconta come si muovevano i media durante “Mani pulite”). Ricorre quest’anno il 25esimo anniversario della falsa rivoluzione e, come ricordava Paolo Pillitteri in suo formidabile articolo, la vera sigla della ricorrenza non l’ha pronunciata Piercamillo Davigo ma il capo di quella stagione, Francesco Saverio Borrelli, con un netto “chiedo scusa per il disastro seguito a Mani pulite”, che significa, aggiunge l’ex sindaco di Milano, “non valeva la pena buttare il mondo precedente per cadere in quello attuale”. Per non parlare dei social che, senza regole, sono diventati la “piazza” più becera e qualunquistica che ci si potesse immaginare e dove impera l’invettiva, lo sproloquio e la caccia verbale a chiunque occupa un posto di responsabilità a prescindere.

Ma il contributo decisivo lo hanno dato Grillo e Casaleggio col Movimento 5 Stelle, portando nell’attuale Parlamento una schiera, non tanto di dilettanti, quanto di incapaci, incompetenti, incolti ed analfabeti politici. E lo hanno fatto, non come usavano selezionare la classe dirigente i partiti tradizionali, ma con un semplice algoritmo che non garantisce capacità e competenza. Certo ci sono anche, da contare sulle dita di qualche mano, alcuni giovani dalla facile parlantina e in parte preparati che però non riescono a colmare le deficienze visibili dei loro colleghi parlamentari e degli amministratori di enti locali che sono stati letteralmente sputtanati dalla vacuità e inesistenza del sindaco di Roma che non si vergogna di affermare, su ogni minuzia, che “ho consultato Grillo” quasi riconoscendogli lo status di “padrone assoluto” del movimento che non riabilita, però, il nulla che la contraddistingue. È chiaro che detta presenza allontana delittuosamente chi potrebbe dare un validissimo contributo all’intero Paese. In parole semplici, anch’essi riescono a scacciare “la moneta buona”.

Tornare al proporzionale non è per nulla la fine del mondo, ma può servire a ricreare le condizioni per ripristinare i tanto massacrati partiti (al di là delle denominazioni) che, però, hanno la capacità di “selezionare” la classe dirigente che non deve mai più essere concepita come promozione sociale e, a maggior ragione, come trampolino per attività illecite.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:44