La barca dei populisti   col vento in poppa

Dopo che il Corriere della Sera ha pubblicato un nuovo sondaggio secondo il quale, malgrado varie “grezze” a Roma e a Genova il M5S continua a crescere, si sono intensificati gli attacchi, anche culturalmente forbiti, contro populismo e populisti, che per la verità non mancavano neanche prima. Il motivo conduttore principale è che i populisti sono di destra se non fascisti: per cui coloro che ciò sostengono ritengono quale principale discriminante politica attuale quella destra/sinistra. In realtà il vantaggio principale dei populisti sta nel non essere riferibili – o essere poco riferibili – all’opposizione destra/sinistra; ed è loro propizio, perché quella è attenuata, onde è indebolita quale fattore di mobilitazione e identificazione politica.

Ci spieghiamo. La politica è un pluriverso: a combattere per il potere sono sempre gruppi sociali organizzati (dai partiti agli Stati). Il motivo dei raggruppamenti – e dei conflitti – può essere il più vario: religioso, morale, etnico, economico. Ma nella storia dell’Europa moderna ce n’è uno, a seconda dei tempi, che prevale, a seconda di quello che è il “centro di riferimento” spirituale. Carl Schmitt scriveva che l’Europa ha cambiato dal XVI secolo più volte il proprio centro di riferimento; il quale è passato dal teologico al metafisico, da questo al morale-umanitario e poi all’economico. Nel XVI secolo era normale che il conflitto principale fosse tra cattolici e protestanti, nel XVIII tra borghesi illuministi contro preti ed aristocratici; a partire dalla seconda metà dell’800 e soprattutto nel “secolo breve” tra capitalisti e proletari. Il che non significa che non si formino raggruppamenti, conflitti e guerre per altri motivi: vuol dire solo che quello era il più diffuso e mobilitante, e percepito come tale. L’opposizione principale e il di esso centro di riferimento religioso, morale o politico determina di volta in volta il senso di appartenenza, coesione o d’inimicizia.

Ciò che più rileva secondo Schmitt è che “una volta che un settore diviene il centro di riferimento, i problemi degli altri settori vengono risolti dal suo punto di vista e valgono ormai come problemi di secondo rango” scrive Schmitt, e prosegue “i temi polemici decisivi dei raggruppamenti amico-nemico si determinano proprio in base al settore concreto decisivo. Finché al centro si trovò il dato teologico-religioso, la massima cujus regio ejus religio ebbe un significato politico”.

Mutato il centro di riferimento, cambia la concezione dello Stato e il contenuto o la discriminante del politico, che assume altro significato e criterio e può determinare un diverso raggruppamento amico-nemico. La decisività dell’opposizione va ricondotta all’influenza sull’esistenza della comunità politica, sia in senso assoluto (la distruzione della comunità o dell’istituzione che le da forma), sia relativa (la modificazione radicale del modo d’esistenza della stessa e dei valori di riferimento).

Il conflitto politico è così determinato in primo luogo dall’esigenza d’esistenza della comunità. La situazione contemporanea, a seguito del collasso del comunismo (e delle istituzioni-alleanze che ne determinavano il campo) ha fatto cessare l’opposizione borghese/proletariato che ha connotato (quanto meno) il “secolo breve”. Le recenti affermazioni elettorali di movimenti e candidati non riconducibili al vecchio Zentralgebiet, in Europa innanzitutto, e, come appare dall’elezione di Donald Trump, anche negli Usa, fanno emergere una nuova opposizione amico/nemico, ideologicamente meno definita, ma, almeno potenzialmente, virulenta. Appare evidente che tale contrapposizione, come mi è capitato di scrivere di recente, è quella tra nazione (identità nazionale) e globalizzazione; (o internazionalismo “diretto”). Rispetto ai vecchi centri di riferimento, specialmente quello generante l’opposizione borghesia/proletariato, ha in comune il carattere di essere divisiva sul piano interno non meno che su quello esterno: genera partiti populisti che si contrappongono all’élite interne ed internazionali, rappresentate dai vecchi partiti in decadenza, la cui strategia di sopravvivenza è spesso di coalizzarsi (cioè non combattersi) di fronte all’emergere della nuova opposizione (che rende secondaria e poco rilevante la vecchia): così tendono all’arroccamento, al fare blocco tra loro (la vecchia destra e la vecchia sinistra), per impedire la presa del potere ai gruppi riferentesi alla nuova “coppia” amicus-hostis. Anche se, spesso, più che di arroccamento è il caso di parlare di divergenze parallele. Ma le divergenze parallele sono una delle fonti delle alleanze tra soggetti differenti su tanto o tutto, ma uniti dal nemico.

La nuova opposizione ha il vantaggio politico di essere mobilitante: di costituire – e consolidare – il rapporto tra direzione politica e seguito e di identificare obiettivi e nemici. Di realizzare così una “politicità” completa. Di converso la vecchia attenua il carattere politico e così la capacità mobilitante. Indicare oggi come nemico un bolscevico (a comunismo defunto) è fare come don Chisciotte: caricare mulini a vento. E così prendersela con i “capitalisti” (in senso marxiano), quando è un capitalista come Trump - e non solo lui – a ottenere gran parte del consenso dei non molti “operai” delle società sviluppate.

Per cui i movimenti (in Italia grillini, leghisti e meloniani) che si collocano anche se non completamente e, talvolta, non chiaramente, nella “nuova” opposizione, quella tra popoli e poteri globalizzanti, godono del vento favorevole e vanno, malgrado la Raggi, avanti. Quelli che si richiamano alla vecchia o comunque non alla nuova, arrancano, remando contro corrente.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:46