I penalisti tra separazione carriere e intercettazioni

Prosegue la raccolta firme organizzata dall’Unione Camere Penali per la separazione delle carriere. Più di ventimila firme raccolte finora, una cifra di tutto rispetto considerato che il traguardo dell’impegno per il quesito è iniziato una manciata di mesi e punta alla raccolta delle cinquantamila firme attraverso una serie di iniziative programmate in maniera articolata sul territorio nazionale ma senza la copertura e l’appoggio di alcun partito politico.

A Roma gli avvocati penalisti hanno programmato un’altra raccolta firme a piazza Cola di Rienzo dalle 16 alle 20 di oggi per sottoscrivere la proposta di legge. E sono proprio le cifre della campagna per la riforma che mira a stabilire l’indipendenza del giudice dal pubblico ministero da cui passa una maggior serenità di giudizio e il miglioramento della giustizia e della giurisdizione, ad iniziare ad incrinare i timori che l’iniziativa possa ridursi ad una battaglia identitaria che sul tema possa pregiudicare una più incisiva futura battaglie politica. Inevitabile che la battaglia si saldi alla serie di astensioni dalle udienze con cui i penalisti da mesi manifestano contro il ddl di riforma del processo penale per via della sua natura incoerente e lesiva delle fondamentali garanzie costituzionali del giusto processo e dei principi di civiltà giuridica che dovrebbero esser ben saldi all’interno di qualsiasi procedimento penale. Si è infatti appenda conclusa la quarta astensione in poco più di due mesi degli avvocati penalisti contro la riforma su cui il ministro Andrea Orlando ha già ottenuto la fiducia in Senato, dando prova di disprezzo per il dibattito parlamentare, tanto più grave se, come nel caso della riforma del processo penale, si tratta di interventi normativi che impattano così fortemente sui principi e le garanzie costituzionali dei cittadini, deprimono le garanzie e i diritti processuali degli accusati distorcendo pesantemente il modello accusatorio del giusto processo e i rendendo i processi interminabili. A Montecitorio, per ragioni di calendario d’aula ma soprattutto per valutazioni di opportunità politica, la strada della fiducia è decisamente più in salita ma ancora non è certo quale sarà lo scenario definitivo di una riforma manifestamente offensiva delle garanzie degli imputati ma anche delle persone vittime dei reati.

C’ è dunque un ulteriore margine di tempo per l’avvocatura penale per negoziare sul piano politico qualche correttivo ad un testo che prevede un inutile aumento delle pene edittali e la indiscriminata sospensione dei termini di prescrizione violando il principio di presunzione di innocenza e mortificando l’interesse della collettività a conoscere nei tempi più brevi se un imputato è colpevole o innocente. E che introduce un processo in cui, a discrezione del giudice, un numero sempre maggiore di imputati “parteciperanno” a distanza in videoconferenza dal luogo di detenzione, privati della possibilità di difendersi accanto al proprio avvocato. Privati del diritto di difesa, di colloquiare con il difensore nell’ambito dell’istruttoria dibattimentale e del processo, del diritto all’immediatezza, all’oralità ed al contraddittorio processuale, al rispetto della propria dignità. Tutte garanzie costituzionali e riconosciute dalla giurisprudenza europea che la norma piega a ragioni efficientiste, di risparmio e di sicurezza pretestuose (come la dimostrato dalla decisione del tribunale di Roma di riconoscere a 14 imputati detenuti su 17 nel processo di “Mafia Capitale” il diritto di presenziare in aula) contro cui si è espresso in più occasioni anche il presidente del Csm Albamonte. Senza contare che, così come introdotta, la video conferenza è un’eccezione inspiegabile rispetto a qualsiasi altra sede comunitaria dove viene utilizzata e ammessa solo per l’assunzione di singole prove come l’esame dei testimoni, periti e consulenti ma mai per lo svolgimento dell’intero processo a distanza nei confronti dell’imputato.

Le proteste dei penalisti contro il ddl di riforma della giustizia penale, nel frattempo, hanno intercettato i gravi sviluppi di queste ultime settimane dell’indagine Consip legati alla pubblicazione illegale oltre che delle conversazioni tra l’ex premier Matteo Renzi e suo padre Tiziano, anche di quelle tra quest’ultimo ed il suo difensore. Da giorni nell’avvocatura penale richiama un ulteriore vulnus alla civiltà giuridica richiamando l’inviolabilità assoluta delle comunicazioni con il difensore, di cui il cpp vieta l’intercettazione. Tanto che delle captazioni tra Tiziano Renzi e il suo avvocato le Camere penali territoriali di Roma e Napoli (entrambe si occupano del procedimento Consip) e l’Ucpi chiedono la distruzione forti di un importante precedente. A marzo del 2016, il Tribunale di Roma, durante il processo Mafia Capitale, emise un’ordinanza in cui richiamando il divieto di intercettare conversazioni tra avvocato e cliente, previsto dall’articolo 103 del cpp, stabiliva in base all’articolo 271, la distruzione immediata senza neppure provvedere al deposito dell’intercettazione occasionale ed illecita. Le ragioni della illegalità ed illiceità del materiale captato nel caso Consip, spiegano i penalisti, consistono d’altronde in quattro semplici punti: “che la conversazione tra difensore e difeso è stata ascoltata da chi svolge le indagini, che del testo trascritto o del supporto informatico che contiene la conversazione qualcuno si è indebitamente appropriato o peggio l’abbia rubato, che il giornalista ha ricevuto e poi utilizzato il prodotto di tale indebita appropriazione/furto”. Puntualizzano infatti i penalisti che “è illegale ricevere il prodotto di una indebita appropriazione/furto, appropriarsi o rubare un atto di indagine, è vietato dalla legge trascrivere il testo di conversazioni tra difensore e assistito. Ed è espressamente vietato dall’articolo 103 del cpp, che non a caso rubrica come ‘Garanzie di libertà del difensore’ anche semplicemente ascoltare le conversazioni che intercorrono tra difensore e il proprio cliente. Tutte prescrizioni tese a salvaguardare regole giuridiche fondamentali per l’ordinamento”.

Le norme per combattere la barbarie di consentire l’ascolto e l’uso illegale di conversazioni tra la difesa e l’assistito che, tra l’altro, consentono di carpire illegalmente informazioni sulla strategia, esistono e sono lì a circoscrivere i confini dell’uso delle intercettazioni come mezzo per la ricerca della prova e non come strumento per l’indiscriminata e pervasiva diffusione di notizie personali o per ricercare la notizia di reato.

Aggiornato il 26 maggio 2017 alle ore 12:31