Atac e luoghi comunali

C’è una vicenda che, lungi dall’essere una questione prettamente locale, la dice lunga su quanto sia potente il connubio tra politica e carta stampata e su quanto questa relazione possa essere consapevolmente o inconsapevolmente di servizio alla speculazione economica.

Ci riferiamo alla vicenda Atac ripresa da Mattia Feltri e descritta in prima battuta dal Messaggero in maniera forse maliziosetta e “pentastellante”. Secondo la ricostruzione della storica testata romana, gli impiegati amministrativi dell’Azienda di trasporto capitolina avrebbero cercato (con successo) di boicottare il piano della Giunta Raggi che prevedeva una loro adibizione a mansioni di “dissuasori”, una sorta di pseudo controllori  atti a contrastare il fenomeno dei “portoghesi” i quali generano un buco annuo di circa ottanta milioni nel bilancio della partecipata in questione. Il tutto sarebbe avvenuto attraverso manovre sindacali e con l’aiuto, in alcuni casi, di qualche medico compiacente.

Spiace questionare a distanza con Mattia Feltri perché è uno stimato giornalista, perché è sempre sobrio nei ragionamenti e soprattutto perché difficilmente ci è capitato di disapprovare le argomentazioni da lui addotte a sostegno delle sue riflessioni. Sulla vicenda Atac, però, è forse caduto inconsapevolmente nella ragnatela di chi vuole che passi il seguente teorema: il Sindaco di Roma ha avuto l’idea originale di prendere gli amministrativi fancazzisti per adibirli a controllori; questi ultimi, mostrandosi sfacciati oltre che fancazzisti, si sono rifiutati marcando visita o cambiando sindacato; chi quindi in Italia vuole mettere a posto le cose deve vedersela con i potentati e lottare contro la resistenza dei peones pubblici arroganti e garantiti. Risultato? La Raggi è una Santa (e una innovatrice) e gli impiegati Atac sono i soliti statali nullafacenti. Il teorema, troppo scontato per essere vero, non ci ha convinto del tutto sin dall’inizio.

Proprio per questo, pur non avendo le capacità di inchiesta del Messaggero e la penna felice di Mattia Feltri, qualche domanda l’abbiamo fatta anche noi ricavandone un quadro meno banale di quanto possa sembrare.

Ci risulta infatti che la stragrande maggioranza degli amministrativi coinvolti nell’operazione rivoluzionaria pensata dall’A.D. Manuel Fantasia (nomen omen) si sia presentata a fare l’inutile lavoro di dissuasore dei portoghesi  avendo come unico potere sanzionatorio  il predicozzo allo scroccone o il rimbrotto al furbetto nella speranza che quest’ultimo non se la prendesse troppo a male. Chi ha marcato visita, messo a sistema con chi ha fatto il salto della quaglia sindacale, compone un fenomeno ampiamente marginale rispetto all’intera platea dei mobilitati  e risponde all’identikit dello sfaticato, del sindacalizzato per convenienza ma anche di quello che ha fondati motivi (magari di salute) per non accettare l’incarico piuttosto che di quello che sta per andare in pensione e la vede come un brutto regalo di addio.

Nulla di preoccupante insomma, ma numeri che possono considerarsi fisiologici. Tristemente fisiologici? Può darsi ma questo è un altro discorso: per ora cominciamo col dire che la defezione non è un ammutinamento così esteso come potrebbe apparire. Per il resto, quella di allocare pro tempore gli amministrativi ai servizi di controllo è un’idea che, da Numa Pompilio fino ad Ignazio Marino - passando per Veltroni e Alemanno - hanno accarezzato tutti decidendo realisticamente di non metterci mano per una serie di calcoli prettamente di bottega.

Chi non lo ha fatto in precedenza è sicuramente colpevole ma un provvedimento di adibizione a mansioni esterne messo in campo in maniera così scomposta non è eroismo meritevole di sostegno come pensa Mattia Feltri ma semplicioneria tipica del neofita che si avventura con la sicurezza propria di chi non si pone i problemi perché non li vede (primo tra tutti il titolo di poliziotto amministrativo necessario a comminare multe altrimenti l’ammnistrativo è meglio che stia in ufficio a scaldare la sedia piuttosto che salire ipocritamente sui bus). Il resto è fuffa ad uso e consumo di chi la vuole buttare sui luoghi comunALi ma è anche un involontario pallonetto alzato a favore di chi vuole terminare l’opera di demonizzazione della municipalizzata in vista della privatizzazione. L’Atac sarà anche un carrozzone indifendibile ma non si pecchi di ingenuità facendo il gioco degli squali che vogliono fare shopping al ribasso.

Già ci pare di sentire i classici agit-prop del mercatismo intransigente (che si muovono con lo stesso atteggiamento grottesco di Alberto Sordi quando fa l’Ammerigano con la mostarda ed i magaroni)  agitare la solita incoerenza di un giornale a vocazione liberale che si mette a difendere addirittura i dipendenti pubblici. Signora mia qui non si capisce più nulla. Dove siamo arrivati. Qui non si tratta di difendere la Pubblica amministrazione: qui si tratta di restituire la realtà ai fatti dicendo chiaro e tondo che, luoghi comuni a parte, nel pubblico impiego la platea è eccessiva ma anche variegata e che comunque rispettare il mercato significa che le privatizzazioni vanno fatte secondo le regole. Rispettare il mercato significa anche che le innovazioni aziendali possono essere definite tali quando compongono un quadro organizzativo coerente e foriero di un reale valore aggiunto e non rabberciate operazioni di facciata.

Aggiornato il 26 maggio 2017 alle ore 12:30