Chiude l’Unità: accuse al Partito Democratico

Brutta fine. Alle ore 22,49 del primo giugno l’editore del quotidiano fondato da Antonio Gramsci, l’Unità, ha comunicato di “interrompere volontariamente la pubblicazione”. Una decisione grave, arrivata dopo giorni di assenza del giornale dalle edicole e mesi di negoziati travagliati. I redattori hanno firmato un editoriale sulla storia che li riguarda, chiusa “nel modo peggiore, calpestando lo stesso nome che porta la testata, ciò che ha rappresentato e ciò che avrebbe potuto rappresentare”.

Secondo l’amministratore delegato, Guido Stefanelli, “era la scelta giusta da fare, fermare le rotative, in attesa di portare a compimento le procedure di ristrutturazione aziendale”.

Per i giornalisti sono stati invece “mesi di ricatti e vessazioni” nel silenzio del Pd e del suo segretario Matteo Renzi, che è socio al 20 per cento attraverso la Fondazione Eyu mentre gli editori di maggioranza sono Massimo Pessina e Guido Stefanelli della società Piesse. Nell’editoriale di sabato 3 giugno è scritto “non siamo di fronte ad una società composta di soci privati: siamo di fronte ad un’impresa editoriale che ha al suo interno un partito politico che ha fatto della difesa dei diritti il suo cavallo di battaglia. Un Pd che ha assistito a quanto sta accadendo da mesi, compreso il ricatto al sindacato di non pagare gli stipendi fino a quando il Cdr non avesse convinto gli ex dipendenti a rinunciare ai loro diritti sanciti dal giudice del lavoro, senza prendere una forte posizione pubblica”.

Non si è arrivati a questa situazione per un improvviso fatto esterno ma per una decisione più volte annunciata dallo stesso stampatore, il quale da mesi parla di una ristrutturazione mai avviata davvero. L’azienda, che in due anni non ha presentato un seppur minimo piano industriale, ha solo minacciato licenziamenti collettivi “come se a pagare il conto della mancata gestione aziendale dovessero essere i lavoratori e le lavoratrici”.

In una giornata drammatica e convulsa i giornalisti hanno confezionato un prodotto che non sarebbe stato in edicola e senza essere pagati. Il risultato: “Lavorare per un giornale che non c’è. L’Unità”. Negli otto giorni di sciopero non sono mancati gli attestati di solidarietà a partire dai due presidenti di Camera e Senato. Non ci sono precedenti nella storia dell’editoria italiana che uno stampatore fermi le rotative perché da mesi non pagato. La chiusura nel giorno della festa della Repubblica e del lavoro è ancora più amara perché è la seconda che si verifica dopo quella del 2014.

Una ferita profonda nel quadro delle difficoltà del mondo editoriale. Per questo la Federazione nazionale della stampa, Stampa romana e Cdr chiedono che la vertenza Unità venga affrontata dal Sottosegretario a Palazzo Chigi con delega all’editoria Luca Lotti con la stessa energia riservata in passato ad altre imprese editoriali. I giornalisti dell’Unità hanno già subito il dramma della chiusura nell’estate del 2014 quando il quotidiano venne fermato per il fallimento della società Nuova iniziativa editoriale e rinacque un anno dopo con un nuovo assetto societario, quello attuale: 80 per cento della Piesse e 20 per cento della Fondazione Yyu-Europa YouDem-Unità che fa capo al Partito democratico.

Una storia chiusa nel modo peggiore, con tanti errori, tanti silenzi, tante recriminazioni. L’Unità aveva iniziato le pubblicazioni a Milano il 12 febbraio 1924 sotto la direzione di Ottavio Pastore ma il nome era stato suggerito dal filosofo Antonio Gramsci con il sottotitolo “quotidiano degli operai e dei contadini”. Costretto a cessare le pubblicazioni alla fine dell’ottobre 1926 per ordine delle autorità fasciste ricomparve già nel gennaio 1927 come Unità clandestina. Tra i direttori Claudio Petruccioli, Emanuele Macaluso, Gerardo Chiaromonte, Walter Veltroni, Giuseppe Caldarola, Massimo D’Alema, Renzo Foa ma anche Furio Colombo e condirettore Antonio Padellaro.

Aggiornato il 06 giugno 2017 alle ore 12:31