Orgoglio e vitalizio

Se l’ultimo rifugio della canaglia notoriamente è il moralismo, e in Italia gli esempi sono infiniti, in politica, nel giornalismo e persino in magistratura, il canto, anzi il “raglio”, del cigno del renzismo tuttora imperante ha tutto a che vedere con questa corsa a rimorchio del grillismo. A costo di far passare, al riparo grazie all’autodichia della Camera e del Senato da eventuali reprimende della consulta, lo squallido principio della vendetta legislativa retroattiva. Il classico dogma della sinistra: essendosi dimostrato impossibile redistribuire il reddito arricchendo i poveri, ci si accontenta di farlo impoverendo i ricchi. O semplicemente i benestanti. Il ceto medio. L’ideologia para brigatista dello slogan “padroni borghesi ancora pochi mesi”.

E così l’ultima trovata degli uomini di Matteo Renzi, che lasceranno la legislatura orfana di leggi molto più importanti per i diritti civili, come quella del testamento biologico e quell’altra della legalizzazione della cannabis, così come proposta dal sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova, un radicale doc tuttora iscritto al partito transnazionale che fu di Marco Pannella, è giocarsi il tutto per tutto nella lotta con Beppe Grillo sul suo stesso terreno: vediamo chi ce l’ha più lungo con l’abolizione dei presunti privilegi ai parlamentari. Con il rischio di lasciare quest’attività solo a chi è estremamente ricco o estremamente povero. Escludendo il ceto medio e i professionisti. Il sogno di Palmiro Togliatti e di Enrico Berlinguer che si avvera con Renzi.

Intaccando uno dei principi cardine della carta dei diritti dell’uomo in Europa, “tempus regit actum”, che di fatto apre autostrade future a gente arrivista e spregiudicata alla Tito Boeri, pronta a togliere la pensione a milioni di italiani. Per poi mettersi magari a fare politica come quello che grida “il leone è fuggito” nella canzone di Enzo Jannacci, per “ vedere da lontano l’effetto che fa”.

E che questo pericolo sia immanente e forse imminente lo dimostra un emendamento della commissione voluto dal povero Matteo Richetti, relatore di questa legge incredibile, che è una sorta di “excusatio non petita”. O forse molto “petita”. Hanno aggiunto, “last minute”, un quinto comma all’articolo 13 del provvedimento per precisare e promettere, non si sa con quanta credibilità, che il meccanismo retroattivo di ricalcolo contributivo per i vitalizi dei politici mai potrà essere esteso in futuro alle pensioni dei comuni mortali. Chi poi metterà una garanzia su ‘sta promessa rimane un mistero. Ma è come un’ammissione di colpevolezza rispetto all’incostituzionalità della legge. Roba da psichiatri.

A questo, d’altronde, è ridotta la politica italiana oggi e la fine ingloriosa di un fenomeno bello come è stato quello di Renzi leader fa veramente pensare. Guai a tentare una riforma o a fare qualcosa di utile: ci penseranno burocrati, magistrati, statalisti, parassiti dell’impiego pubblico e nostalgici della Terza internazionale a farti fuori. Altro che Emmanuel Macron. Qui ci sono solo “Micron” che volano basso nella palude come avvoltoi in cerca di cadaveri.

Dalla polemica sulle acque e gli incendi, all’insulsaggine per come si sono affrontati i sismi ad Amatrice e Norcia (vedi atto d’accusa del Tribunale delle libertà Marco Pannella) passando per l’incapacità pressoché totale di questa classe dirigente di affrontare qualsivoglia problema, il tutto con un Parlamento che sforna leggi idiote una dopo l’altra (elenco infinito dall’omicidio stradale allo stalking, in giù), la vera scommessa è su come uscirne vivi. E Renzi non sa più che pesci pigliare. E forse anche il Cavaliere si è rotto le scatole di togliere le castagne dal fuoco a un provinciale pieno di ex buoni propositi che poi nella pratica si atteggia a teddy boy del nuovismo in politica. L’acqua va tutta al mulino del comico genovese. A lui resterà solo l’orgoglio e... il vitalizio.

Aggiornato il 26 luglio 2017 alle ore 21:54