Privatizzano Atac, Ama e Acea per volere della Troika e di Renzi

giovedì 10 agosto 2017


Roma è in totale stallo economico, non circola più denaro, il 50 per cento dei commerci tradizionali ha chiuso, il 10 per cento dei 15 milioni d’italiani poveri vive nel perimetro urbano di Roma, e nel frattempo c’è chi reputa sia il caso di privatizzare ogni servizio (dal trasporto pubblico ai rifiuti, passando dalla polizia locale al servizio giardini).

La privatizzazione di ogni servizio non la vogliono i romani, ma sarebbe stata imposta dalla Troika dell’Ue in un incontro di due anni fa tra l’allora ministro Linda Lanzillotta e i controllori di Bruxelles. Dopo quel tavolo europeo decollava il “Piano Lanzillotta per la concessione del Salva Roma”. Un piano per certi versi segreto, perché veniva rivelato alla cittadinanza solo il fine di mettere a posto i conti, ma non che i “poteri bancari” avessero deciso al posto della politica di mettere fuorigioco i nemici dei “poteri forti” e dei “privatizzatori”, cioè i sindacati ed eventuali dissidenti interni al Consiglio comunale capitolino. Il fine? Privatizzare tutti i servizi pubblici e tentare di licenziare quanti più dipendenti di Comune e municipalizzate. Un piano che non terrebbe conto dei più deboli, dei precari, dei meno protetti. Per delegittimare ogni oppositore ed evitare proteste, da circa due anni le lobby che intendono gestire la totale privatizzazione del Comune stanno incontrando tutti i possibili ostacoli: dai vertici bancari a quelli sindacali, da esponenti della magistratura ad imprenditori (anche esteri) che potrebbero investire. Il parere unanime dei “poteri forti” sarebbe sintetizzabile così: “Non si muovono capitali se prima non sarà certa la delegittimazione di ogni opposizione”.

In questa logica Roma è stata messa economicamente a stecchetto più d’ogni altra città italiana. Nella Capitale la crisi ha assunto le tinte di una fitta nebbia, quasi la si taglia col coltello, e ti blocca ogni movimento. L’ordine è perentorio: “bloccate tutto, conquisteremo la città per fame”.

Ecco che i piani industriali di Ama, Acea e Atac vengono approntati nei salotti che contano. Ma, annullata la volontà della classe dirigente romana, rimane lo scoglio di far digerire alla cittadinanza che saranno i contribuenti romani a pagare i debiti accumulati dalla politica. Con la sola certezza che in futuro il biglietto del trasporto pubblico e quello dei rifiuti (l’ex tassa dei rifiuti solidi urbani) verranno versati a dei privati, quelli chiamati dalla Troika a “salvare” Roma dal baratro. Da cittadini-utenti si sta scivolando verso il rango di clienti di un comune privatizzato (la contraddizione c’è tutta).

Ma cosa avrebbero sentenziato quelli della Troika ai tempi del “Salva Roma”? Quei signori incontrati dalla ministra Lanzillotta erano gli stessi che pilotavano Matteo Renzi per “fare le riforme e far ripartire l’economia italiana”. Il documento che i signori dell’Unione europea rinfacciavano all’Italia era la relazione della Corte dei conti sul “peso del fisco nei comuni”, definito dalla stessa Corte “al limite del sostenibile”. E qui la Troika suggeriva che “le somme finirebbero in un mare di sprechi se introitate dalla mano pubblica”; quindi i signori dell’Ue consigliavano di “ridurre quasi a zero i servizi pubblici essenziali come trasporti e nettezza urbana, parimenti mantenere invariati i prezzi degli stessi, se non addirittura maggiorarli, facendo incamerare le somme da privati che avrebbero gestito al posto del pubblico”. Forse si vuol dare a bere che le aziende private sarebbero più oneste e brave amministratrici di politici e dipendenti pubblici?

L’obiettivo non tanto celato è aumentare i costi perché i cittadini e i dipendenti paghino i debiti e sanino le aziende che certi poteri vorrebbero privatizzare. Per garantire il successo dell’operazione è stato compiuto uno studio sul risparmio dei romani, che secondo gli esperti sarebbe bastevole a sanare il debito della città. Non paghi, i privatizzatori sarebbero già pronti a mandare in disoccupazione (con le buone o con le cattive) la polizia di Roma Capitale per sostituirla con le vigilanze private, a cui verrebbero appaltati anche compiti d’ordine pubblico oltre al rilevamento d’infrazioni al codice della strada (autovelox, parcheggi...). E già qualcuno porta d’esempio di alcune cittadine americane e australiane, dove le società private svolgono questi lavori per il Comune, e con un decimo dei dipendenti di Roma. La sensazione è che chi fa questi progetti abbia poco studiato l’economia italiana, non comprendendo che un piano di licenziamenti (50mila tra Comune e Municipalizzate) creerebbe solo povertà. Ma quest’ignoranza è giustificata dal fatto che le proposte giungono da studi con sede a Bruxelles e Strasburgo, presso cui fanno pratica i figli di certi salotti bene italiani. Ergo, noi proponiamo di licenziare i loro genitori dalla dirigenza del Paese, di estrometterli da ogni incarico. Fregandocene della Troika.


di Ruggiero Capone