Quest’anno gli “Amici di Leonardo Sciascia” dedicheranno i loro studi e dedicheranno un’opera d’arte alla memoria dello scrittore con specifico riferimento a un suo estroso romanzo: “Il Consiglio d’Egitto”.

Ispirandosi alla figura di un personaggio realmente vissuto, l’Abate Vella, Sciascia imbastisce la storia di una colossale truffa: consumata dall’Abate falsificando un antico documento arabo scritto con un alfabeto e con parole di fantasia, approfittando della radicata ignoranza dei potentati dell’aristocrazia e dell’apparato politico della Sicilia dell’epoca (Michele Amari era di là da venire). Lo spregiudicato ecclesiastico maltese avrebbe gettato nel terrore i padroni dei feudi, che il “documento” avrebbe dimostrato essere, invece, terre “demaniali”, non soggette a compravendita ed usucapione, così che quelli che le possedevano avrebbero dovuto rilasciarle.

L’abilità falsificatoria dell’Abate Vella è sintetizzata da una frase che descrive la fase finale della sua fatica: “Il mazzo dei fogli lo aveva accuratamente frammischiato, proprio come un mazzo di carte da giuoco, ché era, per l'appunto, un giuoco, il suo, di grande abilità, di grande azzardo, i fogli, erano stati poi, pazientemente rimessi nella rilegatura...”.

Sciascia, per la figura dell’Abate Vella si ispirò ad un prete imbroglione realmente esistito. Alla storia, al passato, quindi, come gli era congeniale. Ma in quella descrizione, della falsificazione, in quella fantasia dell’uso di una scrittura e di una lingua di mera fantasia in quel rimestare, scompaginando i fogli del suo volume d’imbrogli, si direbbe che, invece, si sia ispirato al futuro.

Sissignori al futuro. Quell’impasticciare impudente è sicuramente ispirato da degli imbroglioni della legge elettorale, falsamente riflettente quella tedesca o francese o, magari thailandese, il “Rosatellum”, come con impudente disinvoltura i giornali definiscono, come una cosa seria, il pasticcio dei nuovi Abate Vella, ricorda, anche se si dovrebbe dire predice, lo scompaginare e ricomporre i fogli della falsificazione del fantastico Abate. Altro che “Rosatellum”. Se un nome merita questo pasticcio che dovrebbe dare agli Italiani l’illusione di essere sovrani nella loro Repubblica (salvo, però, la “governabilità”, le esigenze antimafia, l’esclusione dei corrotti e dei perseguitati e dei supposti tali etc. etc.) esso dovrebbe riflettere il nome dell’Abate campione della falsificazione e dell’imbroglio. Che so “Vellum”, che però suona male, o “vellicum” che, oltretutto, richiamerebbe il verbo “vellicare”. Vellicare ambizioni e speranze di falliti e parassiti. E di altri imbroglioni. Come, appunto, l’Abate Vella, personaggio della profezia di Sciascia.

“Ogni società trova l’impostura che le si addice”. È un’altra frase del libro “Il Consiglio d’Egitto”. La pronunciava l’avvocato De Blasi. Finito a Piazza del Mercato sotto la scure del carnefice.

Aggiornato il 17 ottobre 2017 alle ore 10:17