Mattarella e la paura della verità

Che cos’è questa storia della “promulgazione con lettera” che Sergio Mattarella ha fatto del Codice antimafia?

È una brutta storia. Che ha tutto il sapore di un’incapacità di fare quel che si deve quando ci si trova di fronte al tabù dell’“antimafia devozionale e forsennata” e colora di assurdo e di cinismo una funzione che dovrebbe essere di supremo presidio della libertà, dei diritti delle vite dei cittadini. È inutile ripetere quello che, è stato scritto non solo da noi, fino a poco tempo fa sparuti allarmisti delle malefatte dell’antimafia, sulle pericolose e rovinose baggianate di questo cosiddetto Codice.

Quello che nessuno ha osato dire in questa occasione e che l’inconsueto e grottesco procedimento di “promulgazione” (quasi) condizionato da parte del capo dello Stato ha confermato, è che ogni forma di discussione riserva, opposizione alle frenetiche pretese della parte più becera e dissennata del Partito dei Magistrati sono avvenute e avvengono sotto il segno della paura. Della paura di essere classificati come conniventi della mafia e dei corrotti, di cadere sotto i colpi di più o meno fantasiose imputazioni (caso Giovanardi), di ostacolare la “lotta” al male assoluto delle cosche, di essere dichiarati “incandidabili” (e “invotabili” a candidatura avvenuta) dalle demenziali omelie della congregazione di Rosy Bindi.

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, con la sua innovativa procedura della “promulgazione quasi condizionata”, dà sostanzialmente atto delle gravi incongruenze, delle violazioni non solo delle normative comunitarie del Codice antimafia. Ammette, sostanzialmente, che sia comunque uno strumento pericoloso e letale. Ma invita nientemeno che un premier Gentiloni a non abusare di quell’abuso dei principi del diritto. Come il governatore spagnolo di Milano di manzoniana memoria sembra voler dire: “Adelante, Pedro, con juicio!”. E questo gli basta per mettersi a posto la coscienza nel consegnare a una magistratura, per almeno parte della quale, che è più direttamente interessato (fino ad oggi) all’uso di quello strumento, esso è addirittura troppo poco forcaiolo e devastante.

Ma il punto più grave della lettera di Mattarella, in cui, ci spiace dover dire ciò del capo dello Stato cui dobbiamo, ratione muneris, reverenza e fiducia, affiora qualcosa che è difficile non accostare all’ipocrisia e al cinismo.

E là dove invita il Governo a “monitorare” il funzionamento della legge. Provatela, sembra dire, tanto, al più potrà rovinare qualche altra impresa, disonorare qualche altro cittadino, mettere sul lastrico altri operai e dipendenti di imprese devastate. Una prova “in corpore vili”, il corpo di questa povera nostra Nazione, quello di altre sue province e regioni. E poi, chi dovrebbe fare il monitoraggio?

Rosy Bindi con i suoi confratelli? E chi dovrebbe rispondere se non i magistrati e, soprattutto, quegli energumeni togali per i quali quel cosiddetto codice è ancora troppo poco? E chi oserà parlare se il Presidente della Repubblica ha parlato a metà? E, poi, questa trovata della “promulgazione con lettera di ammonizione” è, in realtà, un favore fatto a un Governo alle prese con una reazione imprevista della pubblica opinione, della stampa, della stessa parte ragionevole della magistratura.

C’è, dunque, la “lettera di riserva e di ammonizione” del Presidente. L’invito, se c’è tale invito, ad “andarci piano”. State quindi tranquilli, non arriveranno a toccare anche voi. Non fatene una tragedia. State tranquilli e tirate a campare. E intanto già tutti stiamo subendo i danni, magari solo quelli indiretti del fanatismo antimafia. E aspettiamo il peggio. A meno che...

Aggiornato il 18 ottobre 2017 alle ore 20:54