Referendum: Veneto, 22/10 ultima chiamata per l’autonomia

Il Veneto si avvicina al voto che domenica 22 ottobre potrebbe cambiare un pezzo della sua millenaria storia: “Vuoi che alla Regione Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?”.

Questo il quesito nella scheda azzurra che milioni di cittadini di quest’area, tra le più forti del Paese, con un residuo fiscale positivo di 15 miliardi di euro, troveranno nelle urne di 575 Comuni. Un voto che varrà il via libera, o meno, al governatore Luca Zaia per iniziare, ai sensi dell’articolo 116, la trattativa con lo Stato per avere più poteri e risorse per il Veneto. Quella che Zaia vorrebbe contrattare con il Governo è una lista di 23 materie (20 “concorrenti” con lo Stato, tre negoziabili) che vanno dall’istruzione all’ambiente, dalla salute ai beni culturali, dalle casse di risparmio alla formazione. Restano intoccabili quelle di interesse nazionale, difesa, ordine pubblico e giustizia, tra cui, ad esempio, nessun potere nella gestione degli immigrati. Ovvio che l’autonomia amministrativa nulla varrebbe senza le risorse. Questo sarà il nodo del tavolo tra Venezia e Roma, perché il Veneto chiederà di mantenere in cassa il denaro finora riscosso dallo Stato sul territorio per esercitare quelle competenze.

Un’autonomia non di diritto, ma “di fatto”. Zaia ha calcolato che se il modello fosse quello del Trentino-Alto Adige, al Veneto spetterebbero quasi 20 miliardi di euro. Un’“elezione vera”, non “una gazebata”, ha ammonito il presidente leghista, che sulla partita si gioca anche il futuro politico. Se passerà, il tema dell’autonomia di Veneto e Lombardia condizionerà l’agenda delle prossime politiche. Un mare di rivendicazioni, battaglie, cortei e appelli - in origine l’indipendenza, poi la devolution, nel mezzo la secessione - che alla fine si ridurrà ad un numero magico: 50 per cento + 1. Perché il referendum sia valido, infatti, in Veneto (dove c’è il quorum) dovranno andare alle urne la metà più uno dei 4.068.558 aventi diritto, 2.034.280 elettori. Si voterà dalle 7 alle 23 in 4.739 sezioni di 575 Comuni, presentandosi con documento d’identità nei seggi indicati nella tessera elettorale. Lo scrutinio inizierà subito dopo la chiusura dei seggi: i voti affluiranno dai Comuni alla Regione, non alle Prefetture, che hanno fornito comunque tutta l’assistenza per la macchina organizzativa. Palazzo Balbi, di suo, vi ha investito 14 milioni di euro. Il Viminale, ieri, facendo infuriare Zaia, ha presentato anche il conto per l’impiego delle forze dell’ordine, poco più di 2 milioni. Fondamentale sarà il dato sull’affluenza. È quello il target per Zaia che, davanti alla stima dei politologi di un dato fra il 55-60 per cento, ha evitato di fissare l’asticella. Aggiungendo che se andasse al voto un veneto su due butterebbe “tutto nel cestino”.

L’investitura forte, per affermare l’istanza autonomista, Zaia dovrà trovarla nell’affluenza. “Sarà un plebiscito” aveva detto qualche settimana fa, facendosi poi più cauto man mano che emergeva l’area dell’astensione. Il tema dell’autonomia, peraltro, è così connaturato al Veneto che sul fronte politico si è assistito ad un quasi-appiattimento delle varie forze. A favore del “Sì” Lega e Forza Italia, ma anche Movimento 5 Stelle, Udc, Fratelli d’Italia - che sul piano nazionale è contraria - Il Pd regionale ha espresso un sì “critico”, dando il via alla “balcanizzazione” nei Dem: il sottosegretario Gianclaudio Bressa ha sempre rimarcato il suo no, la deputata trevigiana Simonetta Rubinato sostiene invece un comitato del “Sì”, Alessandra Moretti fa parte dell’area astensionista nel gruppo in Regione. Da ultimi 39 sindaci del Pd e del centrosinistra hanno lanciato un appello a favore del referendum. Difficile però che domenica notte, se prevarranno i “Sì”, tutti salgano sul carro del vincitore.

Aggiornato il 20 ottobre 2017 alle ore 09:25