Se la Capitale è decaduta, la nazione è in discesa

venerdì 24 novembre 2017


Hanno poco da gioire, Virginia Raggi e i Cinque Stelle, per il successo della loro candidata, Giuliana Di Pillo, al ballottaggio per la poltrona di presidente del X Municipio di Roma. Ha votato poco più del 30 per cento degli aventi diritto e la candidata grillina avrà sicuramente usufruito dell’apporto degli elettori di sinistra se non addirittura di quelli di CasaPound. Il voto a Ostia è in realtà lo specchio del declino della Capitale. Per due settimane sono rimasti accesi i riflettori nazionali su quest’area urbana e ne è venuta fuori una realtà sconvolgente: una parte di Roma, ancorché periferica e lontanissima dal centro (ma pur sempre Roma) è apparsa come Scampia a Napoli o come lo Zen a Palermo. Una sorta di Bronx alla deriva, senza legge e senza regole. Poi avranno certamente ragione, gli onesti cittadini di Ostia, a lamentarsi per la cattiva pubblicità. Però rimane il fatto che nella stragrande maggioranza se ne sono rimasti in casa, rinunciando al diritto di eleggere chi deve amministrare la loro comunità.

Ma esiste ancora una comunità civica a Ostia? Il problema è che una tale domanda andrebbe riferita all’intera Roma. Proprio questo è il punto. Presto si spegneranno i riflettori su Ostia. I cittadini del litorale romano torneranno alla loro silenziosa e cupa rassegnazione. E tornerà sulla scena l’intero scandalo capitolino. Proprio nel giorno del ballottaggio a Ostia, il ministro Calenda ha picchiato duro, come un fabbro, su quello che dovrebbe essere il salotto della Capitale: “Nel centro storico di Roma c’è sostanziale anarchia, dal punto di vista della distribuzione commerciale, sicurezza e illuminazione”.

Non c’è bisogno di visitare le vie malfamate di Ostia (quelle controllate dal clan Spada) per percepire il degrado dell’amministrazione romana. Basta camminare per corso Vittorio Emanuele, dove vecchi e storici esercizi commerciali sono spariti per fare posto ai minimarket gestiti dai bengalesi. Basta passeggiare per le vie intorno al Pantheon, a piazza Navona, a Torre Argentina, dove sciamano le masse del turismo low cost e dove la città sta perdendo la sua identità nella fila di negozi anonimi che offrono chincaglieria.

Se poi ci si sposta nelle zone periferiche, non è infrequente imbattersi nella desolazione dei mucchi di immondizia intorno ai cassonetti. E non è neanche questa l’immondizia più tossica. C’è anche il fiume sotterraneo dei capitali d’origine oscura e criminale che assedia locali ed esercizi commerciali vari. I soldi della ’ndrangheta arrivarono persino in un bar davanti a palazzo Chigi.

Il male di Roma lo rivelano anche vicende simbolo, come lo scandalo del liceo Virgilio di Roma, uno dei più blasonati della Capitale, dove un pugno di studentelli prepotenti, riuniti nel solito “collettivo”, fa il bello cattivo tempo nell’omertà generale, al punto che la preside parla di “clima mafioso”. E in un altro liceo romano, il Socrate, la preside ha ricevuto anche minacce di morte. La borghesia e il ceto medio di Roma non sanno più educare i propri figli né trasmettere valori e senso di decoro. Il grande male di Roma è quindi un male nascosto, invisibile, un male che passa nelle coscienze di quel numero crescente di romani che ha perso fiducia, che non ripone più alcuna speranza in una rigenerazione possibile. E che ripiega nel tirare a campare e, soprattutto, nel rancore.

Una città ridotta così non poteva che finire in mano ai grillini. Il rancore, la frustrazione vendicativa, il rattrappimento degli orizzonti mentali ne sono la cifra distintiva e, nello stesso tempo, il propellente primario. Non per niente la Raggi è stata sospinta in Campidoglio da un voto “contro” non certo un voto a “favore”. Emblematica la vicenda di Colle Oppio. E’ il “dispettuccio” meschino contro la destra che non passò per la mente neanche ai sindaci delle giunte rosse degli anni Settanta e Ottanta. Lo sconforto maggiore che produce la giunta Raggi è proprio quello che nasce dalla constatazione della piccineria e dell’ignoranza che si sono fatte sistema di potere nella Capitale d’Italia.

“Capitale corrotta, nazione infetta”: così recitava il titolo di una celebre inchiesta del’Espresso sulla speculazione edilizia nella Roma degli anni Cinquanta. Ma, quello che succedeva sessanta e più anni fa nella Città Eterna, era pur sempre crescita caotica, non era il declino di oggi. Oggi un’inchiesta su Roma si dovrebbe intitolare “Capitale decaduta, nazione in discesa”. Perché, alla fine, ogni nazione ha la Capitale che si merita.

(*) Fondazione FareFuturo


di Aldo Di Lello (*)