A proposito di libertà e uguaglianza

venerdì 15 dicembre 2017


Un aforisma, un commento - “Assumendo rigorosamente i concetti di libertà e uguaglianza ci si trova di fronte a una forte contraddizione. Infatti, se c’è libertà non può esservi uguaglianza; se c’è uguaglianza non può esservi  libertà. La pretesa di sommarle ottenendo qualcosa più di zero indica scarsa dimestichezza con l’algebra elementare”.

Naturalmente la politica non è algebra e la coniugazione di libertà e uguaglianza, se ben modulata, è alla base di ogni società occidentale contemporanea. Luigi Einaudi, strenuo difensore della libertà, sosteneva l’idea dell’uguaglianza  dei “punti di partenza”, cioè l’idea etico-politica che fosse dovere di ogni Stato liberale assicurare ad ogni cittadino una formazione culturale adeguata per potersi poi confrontare con gli altri e concorrere così per miglioramento del proprio status e, di conseguenza, della società nel suo insieme. Dall’altra parte, la socialdemocrazia, nonostante la sua eredità egualitarista, riconosceva e riconosce, dopo la sbornia marxista, la necessità di garantire a tutti gli individui piena libertà anche se insistendo sul suo carattere eliminativo, ossia parlando di “libertà dal” bisogno, dallo sfruttamento e così via.

In questo quadro il neonato partito “Liberi e Uguali”, capeggiato da Pietro Grasso, o forse Massimo D’Alema, costituisce una sorta di dilemma: cosa intendono per libertà e cosa per uguaglianza?  Posto che la Fraternité, che campeggia nel motto rivoluzionario francese assieme ai concetti in questione, non si può istituire o diffondere per legge poiché richiama motivazioni strettamente legate alla coscienza individuale, resta da capire in che senso e con quali obiettivi i sostenitori di “Liberi e Uguali” riescano ad immaginare una società di cittadini che siano insieme detentori di libertà e di uguaglianza. Se essi pensano ad una uguaglianza giuridica sfondano una porta aperta poiché le società liberali hanno da tempo proclamato questo principio e, in molti casi anche se non in tutti, l’hanno anche realizzato.  Se, invece, si ispirano ancora oggi a Lenin e al suo progetto di una società intesa come un’unica fabbrica con uguale lavoro e uguale compenso per tutti, allora c’è da preoccuparsi.  Non tanto per ciò che ci potremmo attendere – dato che l’elettorato italiano ben difficilmente voterà in massa per un simile progetto – quanto per la misura della cultura e della lungimiranza di uomini politici così evidentemente poco capaci di proporsi in modo originale e aggiornato.

Non ci vuole molto per capire che la libertà, per definizione,  genera diversità e non certo uguaglianza e che, se non si precisa attentamente il raggio d’azione dell’uguaglianza, si rischia di soffocare le diversità e dunque la libertà.

So bene che l’obiezione, vecchia e noiosa, sarebbe: “Ma tu trascuri il fatto che la libertà può portare alla prevaricazione dell’uomo sull’uomo”.  La risposta sarebbe che è esattamente per questo che gli Stati liberali sono divenuti, col tempo, Stati di diritto. Cioè Stati nei quali la libertà non è negata ma, più semplicemente, limitata da regole condivise. In questo senso gli Stati liberali non sono Stati etici se non nel senso minore sopra definito, poiché non fissano traguardi da raggiungere che si impongano all’intera collettività, bensì limiti all’azione individuale perché non comprometta la libertà di tutti. Proclamare il primato della libertà rispetto ad un principio formale di uguaglianza che pretenda di porsi anche come sostanziale, significa, dunque, accettare l’idea che il futuro delle nostre società dipende dal libero svolgersi delle forze individuali e sociali che le caratterizzano e non da “piani” entro cui tutti dovrebbero essere ed agire in termini uguali.

È assai probabile che, in fondo,  i promotori  di “Liberi e Uguali” conoscano  benissimo queste semplici verità e che pensino alle questioni di principio unicamente in chiave elettorale, per raccattare i peraltro non numerosi  voti di “estrema” sinistra ancora disponibili. Il messaggio dei due concetti posti come motto del nuovo partito, tuttavia, forniscono il chiaro segno della povertà intellettuale di gente che crede, o fa finta di credere, che il mondo o l’Italia abbiano tutt’oggi bisogno di rivolgersi a veri e propri disvalori che, dove hanno prevalso, quasi sempre con la violenza, hanno solo eliminato la libertà senza garantire alcuna uguaglianza.


di Massimo Negrotti