Movimento 5 Stelle: l’alleanza che svanisce

Nel gran vuoto della politica italiana ha fatto rumore la cosiddetta virata di bordo dei 5 Stelle con la disponibilità per possibili alleanze, così come la “flessibilità” annunciata sulla candidatura eventuale di “indagati”. Che si tratti di un primo passo verso la ragionevolezza ed i necessari adattamenti alla realtà con la quale il Movimento deve pur fare i conti, è una interpretazione, tutto sommato, ottimistica e, al contempo, di scontata ovvietà.

La ragionevolezza non si conquista con le dichiarazioni preelettorali ed il confronto degli isterismi dell’antipolitica con la realtà non è cosa che si ponga solo alla vigilia delle elezioni politiche. C’è invece una questione più concreta e di grande rilevanza per il Partito di Grillo, una assai più specifica questione di un’alleanza che non si pone oggi, ma che è da tempo esistente e di importanza determinante per il ruolo ed il futuro dei grillini. E che, semmai, oggi svanisce o rischia di svanire. È l’alleanza o, se vogliamo specificarne la natura, la “combine”, con il Partito dei Magistrati, che da almeno un anno a questa parte, benché mai esplicitamente ammessa, era la più rilevante e concreta prospettiva del partito di Grillo. E che oggi sembra dissolversi e svanire.

La vocazione per il ruolo di claque dello squadrismo giudiziario della fazione “tutto e subito” del partito delle toghe è fortemente radicato nella natura e nella struttura mentale del Movimento Cinque Stelle. Ma gli appelli di un Ingroia all’uscire dall’isolamento per marciare con l’estremismo giudiziario era e rimane qualcosa di più e di diverso. Era la prospettiva di una grossa formazione in cui le schiere grilline sarebbero state guidate da i vari sciacalli togati dell’antimafia e del forcaiolismo, che hanno avuto un momento di pressante popolarità, oggi sembra si siano sgretolate.

Se tra i Di Matteo e i paladini dell’antipolitica e dello sterminio giudiziario dei “politici”, i cinquestelluti che hanno tessuto la pagliacciata delle “Cittadinanze onorarie delle cento città”, tra i seguaci del comico di quart’ordine e i teorici di una giustizia di lotta, di una rancorosa concezione di uno “Stato della giurisdizione” in luogo dello Stato di diritto sono stati tessuti progetti di conquista del potere con una sorta di “marcia giudiziaria su Roma”, quel progetto è, almeno nella sua espressione elettorale ed immediata, venuto meno, senza che siano scomparse e troppo attenuate le efferatezze e le distorsioni mentali su cui esso si fondava.

Per questo Di Maio proclama la disponibilità ad altre intese, altre alleanze. Perché di sostituzione si tratta, non di “scoperta” che le alleanze sono necessarie. Non credo che l’“apertura” grillina troverà, prima del voto, qualche segno di risposta positiva, se non, magari, come minaccia, prospettiva strumentale ricattatoria nelle diatribe all’interno di altre coalizioni. Ma il problema non è elettorale o solo elettorale. Sin dal primo apparire del fenomeno politico del comico del turpiloquio, ho scritto (veda, chi lo vuole, le ultime pagine di “Gli arrabbiati d’Italia”) che il vero problema, il vero pericolo, era ed è il populismo, l’“antipolitica”, il fanatismo per la palingenesi di un fantastico repulisti giudiziario che sono fuori dal Movimento del comico, magari in quella forza, in quegli ambienti che si propongono come suoi antagonisti. In altre parole e con significato non troppo diverso, il problema è il Partito dei Magistrati, l’Antimafia che si sostituisce allo Stato di diritto, l’abbandono e la banalizzazione dei valori etico-politici d libertà e di autentica democrazia. La “rinascita” del centrodestra che sembra caratterizzare queste giornate preelettorali non avviene con quella ferma denunzia del complotto sinistro-giudiziario che disarcionò il Cavaliere.

Il quale continua a fare appello ai moderati e, cerca di fare dimenticare le sue disavventure giudiziarie invece di denunziarne il carattere complottista ed eversivo, e sembra, inoltre voler garantire “moderazione” al Partito dei Magistrati anziché voler imporre moderazione ed abbandono di ogni squadrismo giudiziario. Musumeci che dichiara di pensarla all’opposto di Sgarbi sulle pagliacciate dell’apoteosi di un Di Matteo, è un marchio di inconcludenza che pesa su ogni progetto politico del centrodestra. Detto questo, aggiungere che nulla di veramente buono e tranquillizzante potrà uscire da queste elezioni è persino inutile. La politica non si fa solo con le elezioni. Il pensiero politico, se è veramente pensiero e veramente politico, va oltre e non è lecito dimenticarlo. Non lo dimenticheremo.

Aggiornato il 04 gennaio 2018 alle ore 15:52