Lo scudetto di Furnari

venerdì 5 gennaio 2018


Lui è Alessandro Furnari e di mestiere fa il parlamentare. Scelto attraverso il famosissimo meccanismo di selezione dal basso, perno di quell’esaltazione dell’uomo qualunque tanto cara ai Cinque Stelle, si è fatto eleggere a Taranto onde poi abbandonare quasi subito il MoVimento per questioni filosofiche (a suo dire), respingendo nel contempo le insinuazioni di chi lo accusava di non restituire parte dell’indennità parlamentare ai sensi del codice di comportamento pentastellato.

Da parlamentare, al termine dei suoi cinque anni di legislatura, ha portato a casa quasi 500mila euro lordi ma nessuno ricorda un suo contributo al dibattito, un suo apporto legislativo, un suo invito alla riflessione, un atto degno di questo nome.

Perfino a Taranto, città attraversata da una profonda crisi industriale e ambientale, nessuno lo ha mai visto né sentito, nonostante la città ionica costituisse il suo collegio elettorale e nonostante di problemi da affrontare ce ne fossero moltissimi: si parla della crisi Ilva, dei numerosi decreti salva stabilimento siderurgico, del problema ambientale, dei fusti tossici stipati negli ex stabilimenti Cemerad (17mila contenitori di materiale radioattivo), del rilancio portuale e delle Zone ad Economia Speciale, della disastrosa situazione sanitaria, dello scalo aeroportuale.

Invece no, pare che il nostro onorevole si dedichi anima e corpo al Fantacalcio, gioco virtuale nel quale Furnari sembra essere un vero talento visto che in questi anni ha trionfato incontrastato aggiudicandosi lauti premi messi in palio dagli organizzatori.

Di Furnari “la Repubblica” scrive che “in Aula lo trovano sempre così, piegato sui suoi dilemmi calcistici, mentre i colleghi sono alle prese con commi ed emendamenti”. Pino Pisicchio – capogruppo del Gruppo Misto al quale Furnari appartiene – racconta invece che “questo è un talento vero, fa un lavoro a tempo pieno (il Fantacalcio, ndr). Deve avere piena contezza dello stato di salute di ogni singolo giocatore. Delle loro performance. Perfino della densità dell’umidità nell’atmosfera nello stadio in cui si gioca la partita! Io non ne capisco nulla, ma lo guardo con meraviglia, come il pupo del presepio... Adesso mi ha detto che punta a una Jaguar... A volte capitava di non vederlo durante qualche seduta a metà settimana, poi ho capito che succedeva quando c’era il turno infrasettimanale di serie A. Rinuncia alla diaria - sorride - ma ha un ristoro assai più significativo”.

In attesa di sapere se Furnari riuscirà ad aggiudicarsi anche la Jaguar messa in palio per chi vincerà il fantascudetto virtuale, vien proprio da pensare che sia questo il prototipo di pentastellato: un tipo come Furnari, senza un’occupazione stabile svolta prima del mandato parlamentare, senza particolari competenze da spendere ma con una peculiare propensione a rimanere adolescente sfigato capitato per caso tra i grandi e a criticarli nei ritagli di tempo tra un cazzeggio e l’altro.

Perché poi, stringi stringi, sgrossa sgrossa, si tratta di un clamoroso episodio di sopravvalutazione collettiva che ha portato gli elettori – esasperati da una politica cialtrona – a convincersi che il metodo random, la scelta casuale di eletti come il nostro Furnari, potesse fungere da valida alternativa ai vecchi parrucconi.

A ben vedere, gente come Furnari (seppur una meteora nel gruppo parlamentare a Cinque Stelle) è servita alla causa perché ha regalato all’elettore medio grillino l’illusione di trovarsi in una grande famiglia nella quale potevano farcela tutti, persino il cugino spiantato e un po’, diciamo così, sui generis. La qual cosa – invece di spaventarli – ha galvanizzato coloro i quali si sono sentiti esclusi, frustrati, messi in disparte da una società poco inclusiva perché ha regalato a costoro quella speranza di rivalsa sociale che ne ha fatto un popolo, una setta, un vero e proprio partito.

L’illusione resta ma la realtà è che i Furnari fanno volume mentre i Di Maio fanno carriera e i Casaleggio comandano. E i cittadini? Quelli fanno la fine del cane di Mustafà.


di Vito Massimano