Europa sì, Quarto Reich no

martedì 23 gennaio 2018


Pare che l’accordo tra le forze della coalizione di centrodestra sia stato raggiunto su, tra l’altro, una piattaforma di revisionismo europeista. Ma forse l’espressione è inesatta, perché nessuna idea specifica e gestibile è venuta fuori per un’eventuale revisione. Si sarà convenuto un antieuropeismo “moderato”, termine tanto caro a Silvio Berlusconi. Ma è evidente che la “moderazione”, oltretutto, non può essere serio oggetto di patteggiamento e accordo.

Le prossime elezioni, qualunque ne possa essere l’esito, non segneranno una decisione in ordine all’Unione europea e al ruolo che in essa debba competere all’Italia. Non avremo l’Italexit, né tanto meno un rafforzamento dell’Unione. Non ce lo darà di certo Emma Bonino, che di tale rafforzamento parla secondo schemi vaghi o, piuttosto, secondo un sentito dire corrente. Io non ho cognizioni ed esperienze che mi consentano idee molto precise al riguardo. Ma credo che un’Europa governata da un comune sforzo unitario sia stata una conquista irreversibile, il solo passo avanti possibile dopo la nostra unificazione nazionale. La Comunità europea ci ha consentito il “miracolo italiano”, il rigetto della mortale tentazione delle guerre commerciali e doganali quale quella con la Francia, la cancellazione del suicidio economico dell’autarchia.

Credo pure che l’Europa e la nostra politica comunitaria abbiano fatto il passo più lungo della gamba. Né abbiamo reagito oltre che con una “infornata” di nuovi soci, dei Paesi dell’Est e non solo, all’unificazione tedesca, che poneva e pone in modo quasi brutale la questione di una supremazia germanica. Giulio Andreotti era conscio di questo problema. Lo dimostrò con la battuta: “Io, sì, amo la Germania. Tanto che ne vorrei due”. Spiritoso e democristiano. E, tuttavia esplicito. L’uscita dell’Inghilterra (che è stata sempre in Europa con un piede dentro ed uno fuori) ha reso ancor più grave ed evidente il problema. Ma per noi italiani il limite “a misura tedesca” dell’Unione europea è stato reso percepibile e prepotente con la questione dei cosiddetti migranti.

L’Italia è stata, dal resto dell’Europa a direzione tedesca (il fallimento del bilanciamento dell’unificazione delle Germanie con l’ammissione nella Comunità di diversi Paesi dell’Europa è stato totale), considerata l’antemurale destinato a subire l’urto dell’ondata d’invasione. Ma non è l’antemurale da rafforzare e difendere. Direi l’“antemurale a perdere”. Con quel che segue.

Mentre gli sciagurati “rigattieri” dei residuati della sinistra (e non solo loro) discettano e alzano grida scandalizzate se sentono parlare di pericoli di sopraffazione raziale, l’Europa del Quarto Reich pone di fatto la sua frontiera alle Alpi, regola la sua “accoglienza” secondo esigenze di mercato del lavoro e lascia all’Italia il “privilegio” di sottostare alle esortazioni pelose di Papa Bergoglio. Non sono un economista (e si vede). Ma credo che la sensazione che l’Italia sia considerata oggi da quell’Europa un “avamposto a perdere” non sia solo mia. E ciò non giova, insieme a molte altre cose ascrivibili solo a noi, a favorire investimenti stranieri nel nostro Paese. Il nostro non può e non deve essere un europeismo di convenienza alla giornata. Ma non può neppure continuare ad essere quello di una parte dell’Europa “a perdere”.


di Mauro Mellini