Processo trattativa: rischiesti 15 anni per Mori e 12 per Dell’Utri

“Nessuno ci ha difeso”. Ma loro si difendono benissimo da soli, i pm del processo “trattativa” a Palermo,  due dei quali (Nino Di Matteo e Francesco Del Bene) da oggi applicati alla procura nazionale antimafia.

Infatti hanno presentato un conto col botto agli imputati di questo dibattimento impalpabile  almeno rispetto alle prove dell’accusa che fondamentalmente si basano sulle dichiarazioni di Massimo Ciancimino, peraltro condannato per calunnia a cinque anni nelle more del dibattimento per avere tentato di tirarvi dentro l’ex capo della Dia Gianni de Gennaro – ma evidentemente foriero di grosse sorprese specie data l’atmosfera da campagna elettorale che si respira anche a Palermo.

Totale? Richiesti 15 anni per  l’ex generale Mario Mori, 12 per il generale Antonio Subranni e per il colonnello Giuseppe De Donno dei Ros, altri dodici  per l’immancabile Marcello Dell’Utri e sei per l’ex vice presidente del Csm Nicola Mancino. Accusato di falsa testimonianza e protagonista di un balletto di telefonate con il Quirinale all’epoca di Napolitano. Cinque gli anni chiesti  per Massimo Ciancimino testimone anti mafia valido per ogni stagione e accreditato più nei talk-show che nelle aule di giustizia. I boss Leoluca Bagarella e Antonino Cinà, infine,  dovrebbero rispettivamente avere 16 e 12 anni di reclusione per avere condotto, asseritamente, questa trattativa insieme all’ormai deceduto in carcere pochi giorni orsono Totò Riina. Giovanni Brusca, da collaboratore di giustizia, si salva con la prescrizione perchè il reato, per colui che sciolse nell’acido il povero Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santino, con tutte le attenuanti speciali si è ormai estinto.

Non è mancata la solita retorica antimafia nelle parole della pubblica accusa che ha usato la locuzione “puzzle sporco di sangue”.

Una roba da serie televisive tipo Gomorra. Una cosiddetta “narrazione”. La requisitoria che aveva tenuto banco per giorni, peraltro con un’attenzione assai altalenante dei media locali e nazionali, si è così conclusa ieri con i classici fuochi d’artificio. Le richieste le ha avanzate Vittorio Teresi, il terzo dei pm applicati per questo processo.

Dopo 4 anni e 8 mesi di dibattimento pari a  210 udienze - con costi per il contribuente nell’ordine dei milioni di euro - un record per un dibattimento con così pochi imputati, il processo Trattativa Stato-mafia è arrivato ai titoli finali.

E fra pochi giorni si ritirerà in camera di consiglio la corte d'assise di Palermo, presieduta da Alfredo Montalto  con giudice a latere Stefania Brambille, per uscirne presumibilmente in piena campagna elettorale.

Il teorema è stato riassunto in aula così: "Nel 1992, con il delitto dell'eurodeputato Lima e poi con le stragi Falcone e Borsellino, i mafiosi volevano vendicarsi, ma anche inviare un messaggio di ricatto al governo e alle istituzioni, Cosa nostra cercava la mediazione".

Fanno testo anche le parole di Totò Riina intercettate in carcere nel 2013: "Io al governo gli devo vendere i morti". Per ora però alla pubblica opinione vengono vendute come certezze le parole in libertà del figlio di Ciancimino.

Aggiornato il 27 gennaio 2018 alle ore 08:23