Lo sciopero anti-Islam dei “secondini” francesi

“Sciopero della polizia penitenziaria contro le aggressioni dei fanatici islamici dentro le carceri francesi”.

Questa notizia è stata data, anzi fatta passare in sordina per via della campagna elettorale all’italiana - che mai può virare dalla direttrice degli opposti estremismi del politically correct da una parte e delle atmosfere stile Alabama anni Cinquanta dall’altra – ma Oltralpe sta determinando cambiamenti importanti nelle politiche sull’immigrazione.

Leggere sui giornali di 18 aggressioni tra i primi di gennaio e quelli di febbraio di quest’anno, con tanto di uso di attrezzi rudimentali ma pericolosissimi usati tradizionalmente dai carcerati per pugnalarsi a vicenda, tutte effettuate ai danni della polizia carceraria francese da parte di terroristi islamici rinchiusi in attesa di giudizio, altri detenuti islamizzatisi in carcere dopo una piccola carriera criminale da pusher ed ex foreign fighters dell’Isis di ritorno dalle vacanze terroristiche in Siria o in Iraq, sta convincendo tutti, da Emmanuel Macron in giù, di prendere più sul serio la minaccia. Almeno più di quanto sia stata presa sinora.

L’ondata di attacchi è iniziata l’11 gennaio scorso come documentato dall’articolo di Yves Mamou pubblicato anche sul nostro giornale. Lo sciopero “anti-Islam” degli agenti di custodia francesi riguarda ben 130 prigioni, 28 delle quali completamente paralizzate dalla protesta.

La Francia sta perciò vivendo, con il mutatis mutandis della trazione religiosa islamica, lo stesso problema che l’Italia visse negli anni Settanta con le prigioni inquinate dal verbo brigatista rosso. E la maniera di uscirne non è facile. I metodi usati contro i brigatisti in galera negli anni Settanta e Ottanta sinora con i guerriglieri di Allah li hanno fatti propri solo l’America, la Russia e la Cina. E ovviamente Israele. L’Europa vive invece frenata dal senso di colpa inesauribile per i secoli del colonialismo. Che però sono ormai culturalmente lontani. Almeno quanto quelli del terrore barbarico che si abbatté sull’Impero romano determinandone la caduta.

Nell’articolo di Mamou del Gatestone Institute vengono riportate le parole di tale Bernard, agente carcerario in servizio in imprecisato carcere francese: “Prima, ogni mattina avevo paura di trovare qualcuno appeso nella sua cella. Sapete di cosa ho paura oggi? Di essere ammazzato, spogliato, pugnalato alla schiena. In nome dell’Islam e dell’Isis. Tutti giorni, andando al lavoro, questa paura mi fa stare male”.

L’Italia per sua fortuna ancora non rischia questa deriva, anche perché da noi i predicatori di odio – saggiamente da tempo, almeno da Angelino Alfano in poi al Viminale – vengono impacchettati e rispediti al mittente nei Paesi di origine. Un metodo pragmatico anche se andrà di traverso ai soliti legalitari sulla pelle degli altri di casa nostra e ai vari moralisti in libera uscita. Chi se ne frega infatti di fare un regolare processo, stare dietro un jihadista per anni e poi pretendere che sconti la pena e magari si rieduchi pure. Lo si espelle di peso consegnandolo come in una sorta di estradizione forzata alle autorità del suo Paese e si spera che qui non si faccia vedere più.

La Francia ancora non ha il coraggio di adottare questa opzione per liberarsi delle migliaia di serpi jihadiste che coltiva in seno. Ma ci arriveranno, eccome se ci arriveranno.

Aggiornato il 10 febbraio 2018 alle ore 08:00