Il partito degli imbecilli potrebbe vincere e governare

Al momento il problema della comunicazione politica è come voteranno gli imbecilli, perché a questa categoria pre-storica ed a-etica la democrazia affida (e confida) da sempre il destino del “voto di massa”. Quest’ultimo è da sempre sinonimo di appiattimento culturale, valorizzazione dell’amoralità tanto al chilo, celebrazione ieri del circo pagano oggi dei grandi contenitori d’intrattenimento (San Remo, Grande Fratello, programmi generalisti vari...).

Sugli imbecilli poggia il confronto mediatico basato sulla radicalizzazione politica: senza gli imbecilli che senso avrebbe invitare nei programmi una torma di politici specializzati nel “resling” urlato (il resling è quella finta lotta nata negli Usa, dove la donna tigre lotta con l’incredibile Hulk)?

Gli imbecilli parteggiano e sbraitano dinnanzi alla tivù, e nel bar di quartiere (o paese) commentano ad alta voce gli “scontri di Macerata tra fascisti ed anti-fascisti”. Va detto che né i fascisti possono definirsi tali (per motivi storico-culturali) e nemmeno gli antifascisti possono piccarsi d’essere comunisti (diciamo di sinistra). Si dubita fortemente che gli imbecilli abbiano riflettuto sulla definizione canonica (oggi di valore accademico) data al fascismo da De Benoist, ovvero “variante del socialismo avversa al materialismo e all’internazionalismo”. Altrettanto per il suo opposto, il comunismo, per il quale fa ancora fede la visione gramsciana.

A conti fatti risulta anche difficile civilizzare gli imbecilli, formandoli al voto. Anche perché spiegare loro cosa siano la destra e la sinistra, il socialismo ed il conservatorismo, sono argomenti sempre più ristretti ai soli addetti ai lavori: consci che anche una grossa fetta di candidati, e nel più trasversale dei sensi, non sappiano di cosa si stia parlando.

E questo anche grazie all’estinzione dei percorsi formativi, delle scuole di partito: frequentate da tanti permettevano a pochi d’introiettare cultura e visione politica, alla maggior parte d’imparare almeno a fingere e rispettare acume e sensibilità. Quindi soprassediamo, certi che non si possa ai vari Di Maio, Renzi, Boldrini, Boschi... raccontare la lezione di Costanzo Preve che, studioso di Marx, teorizzava il superamento della dicotomia destra-sinistra, caldeggiando la nascita di un fronte comune contro il capitalismo selvaggio, che oggi sta inghiottendo le economie di paesi deboli come l’Italia.

È arduo spiegare ai 5 Stelle o alla Boldrini (anche loro puntano sul voto di una bella fetta d’imbecilli) che il Fascismo non è attualizzabile. Mentre la nostra società soffre l’aggressione delle strutture sovrannazionali (finanza, fondi vari, finte Ong pagate di Soros) che stanno gestendo la migrazione di massa e la morte della dirigenza italiana.

È arduo (forse inutile) spiegare a queste masse informi che, la strategia “nazional-popolare” è programmaticamente gramsciana: si pone come obiettivo di “creare un nuovo senso comune”.

Di questo Gramsci ne dibatteva con Mussolini, considerando il superamento del comunismo…dibattito ripreso negli anni ‘80 da Bettino Craxi e Giano Accame (era il costrutto del socialismo tricolore). Visione politica, per altro, condivisa da autori come Julius Evola, Corneliu Codreanu e Robert Faurisson. Ma non si può perdere tempo (ne abbiamo già tanto poco) a spiegare a milioni d’imbecilli le finalità di un progetto politico. E perché in tutto questo chiasso a non emergere è proprio il progetto di partiti e candidati. E un Paese che poggia la propria vicenda su storia, cultura, tradizione…non può ridursi a parteggiare per i difensori di Luca Traini o per le avvocatesse che difendono i migranti cannibali di Macerata.

Giuseppe Prezzolini paragonava l’elettorato di massa italiano agli “apoti” greci: diceva di loro “quelli che non se la bevono, dal greco apotòs”…ma in effetti spiegava che fingevano di bersela politicamente per continuare furbescamente nella propria esistenza. Poi spiegava che in campo ci sono da sempre tanti imbecilli, presuntuosi e sapientoni. Dicono di sapere quel che vuole il Paese, portano la gente in piazza perché presumono di aver afferrato ciò che i normali elettori ignorano. È gente che ha dimenticato in fretta la storia, dopo essersi indignata per tutto (anche per il “piove governo ladro”). La loro indignazione tocca l’acme tra l’ora del tiggì e quella dell’aperitivo. La loro memoria si ferma all’ultimo scandalo.

Il Paese affonda, ed oggi si vestono da fascisti e domani da antifascisti. Dov’è l’Italia, dov’è il popolo? L’elettorato imbecille considera tutto normale, tutto degno d’assuefazione…danno ancora del matto a Plinio che indica loro l’insofferenza del Vesuvio.

Aggiornato il 15 febbraio 2018 alle ore 08:11