Elezioni: il buono (poco) e quello che non si vede

Se una parola può esprimere al meglio la situazione (o, forse, è meglio dire le situazioni) che caratterizzano questa delicatissima stagione elettorale essa è: “immaturità”.

Ci sono fenomeni, e non di poco conto, che si sono andati profilando ma che sono rimasti (e il voto del 4 marzo lo confermerà) a uno stadio tale che non si può dire propriamente che siano “emersi” e che sfuggono alla percezione meno attenta anche degli analisti purtroppo assai poco portati ad occuparsi a ciò che abbisogna ancora di essere analizzato e capito.

Di essi il più facilmente avvertibile è il disfacimento della sinistra-spazzatura di cui è espressione il Pd e il renzismo, la sinistra dei luoghi comuni, della pretesa di diventare un equivoco e pericoloso “Partito della Nazione”, la sinistra delle demonizzazioni e dei residuati tossici del Pci e della sua dipendenza dalla strategia sovietica, del suo antiliberalismo e la sua propensione per il cattocomunismo. Si comincia oggi ad avvertire l’enorme ritardo con il quale arriva al pettine questo nodo pestilenziale della nostra vita nazionale. Quel che del Pd reggerà, nella sconfitta oramai pressoché scontata, è l’ulteriore spazzatura di queste congerie di spazzatura: il potere, le clientele, i voltagabbana in ritardo.

L’episodio della gaffe di Matteo Renzi che ha accostato (nientemeno) Luigi Di Maio a Bettino Craxi dovrebbe farci comprendere che la storia della sinistra italiana espressa e dominata dal Partito comunista e dai suoi successori ha lasciato e lascia una sola traccia: la distruzione nel nostro Paese di un partito socialista portatore dei valori delle speranze dei Turati, Matteotti, Nenni. Una distruzione che ci allontana dall’Europa e dai suoi orizzonti.

La sinistra a sinistra del Pd è anch’essa espressione della stessa subcultura con un po’ più di retorica per i luoghi comuni antisocialisti, antiliberali, cattocomunisti. Massimo D’Alema, reggicoda di un personaggio come Pietro Grasso è cosa triste da constatare per tutti. E qui veniamo a un altro punto, a un altro fenomeno che non è riuscito a emergere pur essendosi, in questi giorni, profilato e percepito come mai in passato. È in crisi tutta la complessa macchina mediatica giudiziaria che si era andata a organizzare dal golpe di “Mani Pulite” in poi. La frenesia eversiva di molti magistrati, la famelica ricerca del “tutto e subito” del potere politico da taluni di loro, la loro contiguità con i grillini, con la mafia dell’antimafia, l’arroganza dello squadrismo giudiziario di certe procure, la petulanza di alcuni giudici-cariatidi hanno fatto quello che avrebbe dovuto, imporre un’autentica forza politica liberale e democratica: hanno dato al Paese solo segnali allarmanti del pericolo.

E paura. E non ne resterà molto se non si passerà ad altro, se non verrà fuori chi voglia parlar chiaro. I Cinque Stelle, i tirapiedi principali e volenterosi del Partito dei Magistrati perdono smalto, anche lo smalto della loro stoltezza “antipolitica”. Ma sono una discarica di delusioni, di sfiducia, di rabbia, di stupidità varie che non si rimuove facilmente. Che, magari, giocherà con qualche successo la carta del proprio “ammorbidimento”. Il centrodestra ha superato il momento della sua condanna a morte da parte del Partito dei Magistrati e delle persecuzioni giudiziarie. Dà segni di buona sopravvivenza. Con una significativa vitalità. Non sembra però che sia in grado di gestire un ruolo che gli sarebbe conferito dalla crisi della sinistra e del Partito dei Magistrati. Vediamo quale sarà l’afflusso degli elettori alle urne. Se ne potranno trarre indicazioni per il dopo. Il pericolo vero è che dal collasso dei partiti responsabili della crisi politica in cui versa il Paese si passi al collasso del Paese stesso.

Che Dio non voglia.

Aggiornato il 16 febbraio 2018 alle ore 08:18