Renzi: vinco se perdo

mercoledì 28 febbraio 2018


Perdo ma resto. Così Renzi ha deciso che durerà più del suo Pd, in violazione dei sacri principi della democrazia rappresentativa. Ha senso confondere i voti degli elettori dati a un partito come se fossero altrettante “azioni” personali? Mezzo secolo di pacchetti di tessere e le correnti partitiche “proprietarie” che li gestivano come altrettanti feudi inespugnabili, a beneficio delle loro clientele locali e nazionali, non ha insegnato proprio nulla a nessuno? Confondere un bene collettivo che gode di garanzie costituzionali (e un partito riconosciuto lo è!) con una qualunque società per azioni di cui il segretario-presidente è il proprietario, come se fosse un Agnelli qualunque che fa pagare le sue perdite di gestione alla comunità nazionale trattenendo per se tutti gli utili d’impresa, significa non avere né il senso della Storia e nemmeno delle istituzioni. Tanto più se, volendo proseguire con il paradosso della Spa, si parte da un “bottino” personale di voti validi pari al 40 per cento dei votanti (Elezioni Europee del 2014 e referendum costituzionale del 2016), che presumibilmente si dimezzerà alla prova del fuoco delle urne convocate per domenica 4 marzo.

E questo accadrà di sicuro grazie a scissioni e alla moltiplicazione dei cespugli (o soggetti partitocratici antagonisti o alternativi) alla sinistra del Pd. Quindi, dimezzare i propri utili è comunque un successo, o per dichiararsi fuori gioco serve davvero ispirarsi alla massima “Muoia Sansone con tutti i Filistei!” facendo crollare per intero il tempio del Pd? Ma, anche qui: Renzi pensa che per davvero non prevalga in caso di un suo clamoroso insuccesso elettorale l’istinto di sopravvivenza del suo partito, una volta dimezzato? Davvero i fedelissimi di oggi non cercheranno di liberarsene in tutti i modi, a norma di statuto, favorendo la convocazione di un congresso straordinario? Certo, sfortunatamente “Porcellum” e leggi elettorali similari, nate con il presupposto delle liste nazionali bloccate e compilate nell’ambito delle oscure alchimie delle segreterie di Partito, a prescindere dalle preferenze degli elettori, ha favorito in ogni modo questa sensazione dei suoi segretari/presidenti di essere dei Dominus, e nemmeno soggetti alle leggi di mercato, come farebbe qualunque presidente di una holding multinazionale.

Tutto ciò ha risvolti davvero preoccupanti dal punto di vista del senso di responsabilità politica. Infatti, quest’ultimo vorrebbe che chi fallisse nelle politiche di governo e nella scelta di strategie e condotte, in materie che coinvolgono il massimo di attenzione e di interesse da parte della società civile di riferimento (come immigrazione, occupazione, crescita economica, rilancio delle infrastrutture produttive e delle grandi opere pubbliche), si faccia da parte e lasci il passo a qualcun altro in grado di recuperare consensi governando. In questo caso, a quanto pare, Sua Grazia Paolo Gentiloni è in netto vantaggio su tutti i suoi potenziali concorrenti di centro sinistra e, almeno in apparenza, si potrebbe dire che. “L’Europa lo vuole!”.

Certo, qualcosa in tutto questo non sembra tornare: i più grandi quotidiani del mondo, anglosassoni e francesi, fanno da cassa risonanza a verità che ci riguardano, non solo parziali ma anche piuttosto manipolate, come il ritorno in grande stile nel nostro Paese del Fascismo o della xenofobia razzista, citando a riprova solo le gesta del giustiziere di Macerata e non l’orribile delitto di Pamela che l’ha preceduto, né tantomeno il monopolio dello spaccio e del commercio di droga da parte di legioni di immigrati illegali. Ergo: Renzi e Juncker farebbero bene a tener conto di quanto è accaduto qui da noi il 4 dicembre 2016!


di Maurizio Bonanni