Elezioni Politiche: l’analisi post voto

martedì 6 marzo 2018


Diciamocelo: sondaggi molto vicini a quelle che sono le proiezioni oggi definite clamorose dai commentatori circolavano da qualche giorno anche se oggi tutti fingono stupore. Questa legge elettorale fatta apposta per innestare larghe intese su uno scenario di ingovernabilità ha generato un disastro annunciato.

Peccato però che i due principali sponsor delle grosse coalizioni nazareniche siano usciti fortemente ridimensionati dalle urne non potendo contare su numeri tali da permettere loro di guidare il gioco degli incastri (che in qualche modo – per forza di cose – ci saranno ugualmente). Ad ogni modo il Popolo Italiano un’indicazione di voto l’ha data allorché ha penalizzato i partiti pro Europa (Silvio Berlusconi che proponeva Antonio Tajani e il Pd che sponsorizzava Paolo Gentiloni) e premiato Lega e Movimento Cinque Stelle apertamente ostili a Bruxelles.

Il primo dato che viene fuori è che il 50 per cento degli italiani (gli elettori di Lega e Movimento Cinque Stelle) non ne possono più di Jean-Claude Juncker e soci.

Il secondo dato che risalta prepotentemente dalle urne riguarda la distribuzione geografica del voto: il Sud ha votato i grillini sperando nel sussidio di cittadinanza e il centro nord ha preferito Matteo Salvini per le proposte economiche e per la speranza di un diverso approccio all’emergenza sicurezza e immigrazione.

Il terzo dato che si scorge con una certa chiarezza è il dissolvimento di quella sinistra fricchettona che in questi mesi ha provato ad instillare odio e sensi di colpa negli italiani agitando il pericolo fascista, il mantra dell’accoglienza e tutte quelle menate anacronistiche che gli elettori hanno rispedito al mittente con una sonora pernacchia.

Il quarto dato che si rileva facilmente riguarda il famosissimo elettorato moderato: la speranza  è che la politica abbia capito che il ceto medio si sente spazzato via e non vuol sentire parlare di brodini caldi per risolvere i problemi che gli mordono i polpacci tutti i giorni. La famigliola del Mulino Bianco non esiste e la tovaglia bianca con tavola imbandita e prole felice che la mattina fa amabilmente colazione in una confortevole e spaziosa cucina è stata sostituita da una famiglia bi-reddito incazzata che fa i salti mortali per conciliare il mutuo per il bilocale di periferia con le bollette non avendo il tempo per farsi il segno della croce. Quindi altro che equilibrio, quelli vogliono risposte forti e veloci rifuggendo dalle democristianate. E allora che fare? È verosimile una soluzione razionale utile a ricomporre il quadro frammentario uscito fuori dalle urne? In queste ore si assiste ai sorrisini di giubilo dei pentastellati che credono di avere (in quanto primo partito) il diritto di governare.

Premesso che sarebbe auspicabile che si cimentassero nel governo del Paese giusto  per far comprendere agli italiani gli effetti collaterali del suffragio universale, Di Maio e compagni dovrebbero capire che, se è vero che un terzo degli elettori italiani ha premiato il Movimento Cinque Stelle, è altrettanto vero che due terzi degli italiani hanno votato per una soluzione “altra” rispetto a un ingresso di Luigi Di Maio a Palazzo Chigi. E allora se costoro hanno una maggioranza da portare al capo dello Stato utile ad ottenere un mandato esplorativo è bene che la tirino fuori. Altrimenti passino la mano e si mettano a fare opposizione forti dei roboanti risultati ottenuti. In politica lo ius primae noctis non esiste. E non si aspettino che Matteo Salvini, dopo aver conquistato la leadership del centrodestra ed avendo chances da spendere per fare il Premier, vada a fare il paggetto nella maggioranza di Di Maio perché sarebbe un buon modo per dilapidare un consenso insperato. Tutto si può dire di Salvini tranne che sia un fesso.

Il leader leghista poi, nel caso provasse ad azzardare una simile mossa suicida, rischierebbe la ritorsione del centrodestra in Regioni come Liguria, Lombardia e Veneto, cosa che non si può proprio permettere.

Quindi l’ago della bilancia è il defunto Partito Democratico (o un’eventuale fronda di “responsabili” che volesse concedere un appoggio esterno) il quale, se rinunciasse al proposito di Matteo Renzi che minaccia di autorelegarsi all’opposizione, potrebbe sbloccare l’impasse.

Il Pd potrebbe scegliere di fare la comparsa in un Governo Di Maio perdendo gli ultimi scampoli di credibilità residua o potrebbe trattare alla pari con il centrodestra conservando dignità e senso di responsabilità.

Siamo sicuri che, di fronte all’onta di un governo con a capo uno come Giggino ‘o webmaster, anche il refrattario Salvini accetterebbe di trattare.


di Vito Massimano