L’abbraccio mortale

Giggino ’o premier, in arte Luigi Di Maio, ha deciso unilateralmente che è iniziata la Terza Repubblica e che le regole in questa nuova fase le detta lui, il Churchill di Pomigliano. Il codice di comportamento, secondo il nostro autoproclamatosi trionfatore, è il seguente: i Cinque Stelle ci mettono la squadra di governo, il Presidente del Consiglio e il programma mentre gli altri – se gli garba il pacchetto – si possono accodare disciplinatamente senza nulla a pretendere. In caso contrario i nostri trionfatori sono già pronti a denunciare i giochi di palazzo della casta bastarda che per autopreservarsi ha impedito che la storia d’amore tra il popolo e Giggino convolasse a giuste nozze. Casta canaglia che ti prende proprio quando non vuoi, ti ritrovi con un cuore di paglia e un incendio che non spegni mai.

A beneficio di chi la Costituzione non l’ha mai aperta ma l’ha sovente sventolata al grido di Ro-do-tà, rammentiamo che la democrazia in Italia non funziona così: il Presidente della Repubblica conferisce il mandato (pieno o esplorativo) a coloro i quali dimostrino di avere una maggioranza nei due rami del Parlamento. Questi sono numeri e a poco conta un risultato che al massimo può definirsi “clamoroso”. Peccato che più di qualcuno in queste ore sogni di salire sul carro del vincitore: ci riferiamo a Liberi e Uguali e al  Partito Democratico (o comunque ad una parte – non si capisce quanto estesa – di esso). Evidentemente a costoro non deve essere bastata la figuraccia rimediata da Bersani in streaming nel 2013, tanto che molti cominciano a ritirare fuori la solita menata del “Movimento costola della sinistra” e dell’alleanza Pd-M5S come sbocco naturale dovuto ai notevoli punti di contatto ideologici.

A bocce ferme il veto di Matteo Renzi, che come i Bravi di Don Rodrigo insiste nel dire che “questo matrimonio non s'ha da fare, né domani, né mai”, dovrebbe essere bloccante dato che la compagine parlamentare è a maggioranza gigliata. In Italia abbiamo però imparato dalla nostra storia che spesso il popolo indossa la camicia nera se Lui è sul balcone onde poi infilarsi quella rossa a potente appeso. Non vorremmo che dietro Zanda e Emiliano che spingono per parlare con Di Maio ci fossero anche pezzi pregiati della Leopolda e qualche Libero e Uguale in cerca di collocazione. Hai visto mai che a reggere il moccolo dell’ex segretario resti la perpetua Maria Elena e il chierichetto Lotti?

Non sarebbe una roba inconsueta in questo Paese che dopo Galeazzo Ciano, Gianfranco Fini, Angelino Alfano e Denis Verdini non si scandalizza più di niente. Temiamo però che più di qualcuno abbia fatto male i conti perché l’abbraccio tra i grillini e i piddini sarebbe mortale per entrambi: come potrebbe la sinistra spiegare una posizione di subalternità e di complicità con una compagine che fino a ieri veniva definita un pericolo destabilizzante anche in sede europea? Come spiegare all’elettorato che prima il populismo lo si è combattuto onde poi allearcisi mettendosi in posizione di subalternità? Sarebbe la fine del Pd così come sarebbe la fine dei Cinque Stelle allorché si dovessero trovare a spiegare al proprio elettorato che la casta prima la si è combattuta per poi portarsela al Governo. E cosa accadrebbe ai grillini se, una volta entrati in maggioranza, i democratici esercitassero il loro potere di interdizione parlamentare per ingessare l’azione di governo e mettere sulla graticola Di Maio facendogli fare la fine del topo?

A volte la troppa foga di consumare il lauto pasto rischia di strozzarti.

Aggiornato il 08 marzo 2018 alle ore 08:01