Moderati: no, grazie!

Ogni evento politico dovrebbe essere considerato anche per gli aspetti meno appariscenti e per i risvolti più complessi. La sconfitta di Silvio Berlusconi dovrebbe porre fine ad un grosso equivoco che si andava trascinando da anni, sostituendo e coprendo l’essenza di quello che avrebbe dovuto essere la funzione, il ruolo della forza politica che il Cavaliere aveva, con un colpo di bacchetta magica, creato dal nulla nel 1994.

L’indiscutibile merito di Berlusconi fu quello di aver impedito che il golpe politico-giudiziario di “Mani Pulite”, che aveva travolto la Prima Repubblica, il sistema spartitorio dei partiti, la classe politica italiana (tranne una “proroga” per quella del Pci e di una frazione apertamente cattocomunista) andasse completamente a segno, con la consegna del Paese ad un Partito Comunista, benché travolto dalla storia europea e mondiale con la fine dell’Urss.

Quel salvataggio, sicuramente meritevole e fortunato, oltre che conforme a una logica degli eventi internazionali, per i quali l’insediamento di un governo del Pci avrebbe rappresentato un non senso, avvenne secondo una linea politica semplice: bastò raccogliere i cocci, fare appello all’anima del Paese, che, malgrado il crollo di quella che per decenni si era imposta come “diga” all’avanzare del comunismo, non intendeva certamente sperimentare proprio allora il potere comunista.

Erano effettivamente i “moderati” quelli cui la repulsione della Sinistra non imponeva ulteriori scelte, quelli che avevano consumato la loro pazienza nei confronti della Dc, della sua inamovibilità, senza formulare proposte di rivolta o semplicemente di alternativa. E che risposero all’appello di Berlusconi.

C’era un’Italia “moderata”, che benché non più convinta di doversi “turare il naso” per votare Democrazia Cristiana e il relativo “sistema”, altro non aveva bisogno di esprimere. Quella fase, del resto datata un quarto di secolo fa, è chiusa. La “moderazione” non ha più quello specifico significato politico. Il potere non è stato conquistato né dal Partito Comunista Italiano, né dai suoi eredi più o meno legittimi. Distrutta la Prima Repubblica e il sistema politico che l’aveva retta dal 1948 del tutto sono rimasti i liquami, le immondizie (senza che nessuno ne tentasse, almeno, la “raccolta differenziata”).

Ma il dato più rilevante, con il quale oggi dovremmo fare i conti, è che il golpe, la prevaricazione e l’emergenza giudiziaria che avevano ottenuto la fulminea vittoria con “Mani Pulite” è proseguita. Intanto portando contro Berlusconi e Forza Italia, sordamente in continuazione, la violenza giudiziaria. E approfondendo nel tessuto dello Stato e della cosa pubblica i tentacoli di una sorda ma nemmeno tanto occulta invasione del potere giudiziario.

Il golpismo del manipulitismo è divenuto Partito dei Magistrati. Quella che era una bizzarra pretesa di una minoranza di essi di battere la “via giudiziaria al socialismo”, messo da parte il socialismo è divenuto Partito dei Magistrati, espressione politica dell’intera corporazione. I liquami della rovina del sistema politico hanno fatto anch’essi la loro trasformazione. I sussulti dell’antipolitica che hanno caratterizzato quel po’ di opposizione al sistema della Prima Repubblica (soffocando, anch’essi, magari, ideali e prospettive politicamente consistenti) sono stati sostituiti da un torrente di melma, tifoseria sciagurata dello squadrismo giudiziario del Partito dei Magistrati. Che significato può avere, in un tale contesto, il termine “moderati, moderazione”?

Berlusconi aveva promesso una “rivoluzione liberale” della sua coalizione vincente. In realtà di una “rivoluzione liberale”, di un abbandono naturale e totale dell’identificazione nel “moderatismo”, era necessario per poter sperare di vincere, di impedire una seconda volta che il golpismo giudiziario, vada a segno.

Chi vivrà vedrà.

Aggiornato il 09 marzo 2018 alle ore 08:00