Un Renzi piccolo piccolo

Matteo Renzi: un Davide contro il Golia della sconfitta. Eppure, nel suo caso, vale il detto “quando piccolo è bello”. Le ragioni vere? La prima, la più evidente di tutte, è la sua futura blindatura (novità assoluta nel suo caso) in un ruolo perfettamente craxiano, dato che con il pacchetto di mischia di fedelissimi parlamentari sarà il brigante Passator Cortese alla Pascoli, pronto a sbarrare il sentiero sempre più stretto che porta a Palazzo Chigi. Per difendere questo suo impervio ridotto, però, sarà con ogni probabilità costretto a un duro confronto con il futuro segretario del Partito Democratico, a meno che non sia una sorta di Re Travicello disposto a giocare assieme a lui il Gatto e la Volpe contro il Pinocchio grillino. Nel ruolo, per dire, andrebbero benissimo Delrio o Calenda che hanno verso il segretario dimissionario un alto debito di gratitudine. Certo, non basta sbarrare il passo, perché qualcuno per quel sentiero stretto dovrà pur passare, dato che il rischio tutto interno al Pd è un’altra dolorosa scissione come la creazione di un gruppo parlamentare di minoranza (nella minoranza).

Quindi se oggi il renzismo è l’ago parlamentare della bilancia per formare un nuovo Governo, certamente di veloce transizione, visto che non si potranno tenere a lungo fuori la porta molti milioni di voti dei Cinque Stelle, ebbene questo famoso cursore a un certo punto deve pur scegliere il suo Nord. Ovvero: quale maggioranza assicurare per dare la fiducia al prossimo Presidente del Consiglio incaricato? Tutto oggi lascia pensare che sarà un nuovo Mario Monti a scendere in campo, con un Governo del Presidente che escluda almeno in parte (salvo le solite transumanze di parlamentari anche in questa “Terza Repubblica”) i due vincitori delle elezioni del 4 marzo. E tutto ciò, per diversi motivi. Innanzitutto, la solidità del bilancio dello Stato minato alla radice sia dalle politiche pensionistiche della Lega (favorevole all’abolizione della Legge Fornero), sia dal reddito di cittadinanza dei Cinque Stelle, che possono essere realizzate entrambe soltanto con un aumento sostanziale del deficit pubblico, in violazione delle fondamentali clausole dei Trattati europei.

Quindi, direi che la partita della nuova conta elettorale sia rinviata logicamente da qui a un anno, quando a quella fatidica data si celebreranno le elezioni del Parlamento europeo, nonché si rinnoveranno i vertici della Commissione europea e, soprattutto, della Bce. La prima delle suddette scadenze è terribilmente importante, per gli europei. Oggi, all’antieuropeismo dei Paesi di Visegrad si somma il forte indebolimento della Germania e la recente formazione di un nuovo blocco di Paesi del Nord Europa, che si contrappongono in maniera netta all’asse franco-tedesco che vorrebbe più Europa, come il famoso ministro unico delle finanze di Emmanuel Macron. Quindi, all’Europa odierna (e a Juncker e Draghi in testa a tutti) interessa mantenere inalterate fino al 2019 le posizioni di rigore. È verosimile che, dopo le elezioni, un nuovo tsunami di protesta ferocemente antieuropea e anti-immigrazione porti molti più sovranisti e nazionalisti a Strasburgo, con lo spettro di una revisione dei Trattati in senso opposto a quello auspicato dall’Euro e dall’Europa a trazione germanica. Matteo Salvini accetterà mai un Governo tecnico (a guida Pier Carlo Padoan, ad esempio)? Alla lunga credo di sì, per lanciare nel 2019 un’Opa ostile sul centrodestra.

Aggiornato il 12 marzo 2018 alle ore 14:11