La nuova Europa della convergenza e convenienza

Macron festeggia il governo Merkel, Merkel festeggia Macron. L’Europa che verrà è da un’altra parte. Il popolo italiano ha dato alle ultime votazioni manifesta fiducia e consenso a chi ritiene l’asse franco/tedesco dell’Europa tedesca giunto al capolinea.

“Francia e Germania lavoreranno insieme nelle prossime settimane per portare avanti il progetto europeo” ha dichiarato Macron dopo aver aspettato a lungo per riuscire a festeggiare l’accordo di coalizione tedesca. Perché Macron e Merkel dovrebbero decidere, da sole, dei destini dell’Unione europea? Macron e Merkel si basano, o meglio intenderebbero basarsi, sul documento redatto dai quattordici accademici e studiosi francesi e tedeschi che hanno messo nero su bianco: pulizia dei bilanci delle banche dai crediti deteriorati, tetto alla quantità di titoli di Stato sovrani in pancia alle banche, meccanismi automatici di ristrutturazione del debito, introduzione degli Esbies, una sorta di pacchetti mix di obbligazioni dei singoli Stati, rottamazione del parametro del deficit in favore di misure restrittive sul debito pubblico.

Contro la decisione in solitaria di Francia e Germania è subito arrivato un documento firmato dai ministeri delle Finanze di Danimarca, Estonia, Finlandia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Paesi Bassi e Svezia attraverso il quale esprimono “la nostra visione comune nell’ambito della discussione sulla struttura dell’Unione monetaria”. Già dall’inizio, questi Paesi danno un deciso altolà alle velleità solitarie di Francia e Germania.

“Il futuro dell’Unione riguarda tutti e perciò dovrebbe essere deciso da tutti. Le nuove iniziative di riforma dovrebbero essere aperte, su base volontaria, anche ai Paesi non appartenenti all’Eurozona”. Danimarca e Svezia non hanno l’Euro. I Paesi scrivono di non voler rivedere il Trattato di Maastricht né il Fiscal Compact, ma vogliono riforme strutturali e il rispetto del patto di stabilità e di crescita e solo in un secondo momento la creazione di riserve di bilancio che permettano azioni di politica fiscale a livello nazionale. Essi propongono la trasformazione del meccanismo europeo di stabilità in un fondo monetario europeo nel quale gli aiuti finanziari siano accessibili in cambio di riforme strutturali, oltre la necessità di rafforzare il quadro per la ristrutturazione ordinata del debito sovrano nel caso raggiunga un livello insostenibile. In pratica vogliono rigore di bilancio a tutti i costi, ma anche riforme e crescita. Il documento è decisamente ambiguo, ma spiega quale idea si siano fatti: i Paesi del nord dell’Europa ritengono l’Europa una pentola d’oro per loro da cui attingere travasando le ricchezze nostre, dai Paesi democratici, a loro ex Paesi poveri, molti ex dell’Urss. La volontà dei Paesi del nord è di portare acqua al proprio mulino. Non è un caso che l’Olanda abbia già comunicato di non intendere farsi carico di maggiori contributi opponendosi con forza a ogni decisione europea in tal senso a fronte della richiesta di Bruxelles di sopperire tutti al venir meno dei contributi versati dal Regno Unito post Brexit, pari a 9 miliardi di euro.

Mentre in Italia c’è ancora chi dice che bisogna tassare per non si sa come crescere, mentre Francia e Germania, accortisi dei disequilibri che si profilano, cercano di mettere le mani avanti ed ergersi a capo e alla direzione d’Europa, i Paesi del Nord puntano la cassa. È dall’Italia che deve partire la proposta di ricontrattazione dell’Unione e di rimodulazione dell’Euro. Allo stato la soluzione migliore è riprendere quella comunicata da Valéry Giscard d’Estaing, che suggerisce di tornare a un nucleo originario di sei/sette Paesi originari con cui mettersi a tavolino e riscrivere regole di massima non ostruttive né rigoriste, ma convenienti per i sei/sette cui rivolgersi, lasciando gli altri Stati membri in un anello europeo concentrico ruotante intorno al “pianeta”. La contrattazione della nuova Europa deve avvenire sotto il duplice segno della convergenza dei sei/sette e della propria convenienza. Ciascuno Stato dei sei/sette con la propria politica economica autonoma.

Aggiornato il 15 marzo 2018 alle ore 07:40