La Luna Rossa, Compagna di morte

“C’è una figura, la vittima, che è diventato un mestiere, questa figura stramba per cui la vittima ha il monopolio della parola. Io non dico che non abbiano diritto a dire la loro, figuriamoci. Ma non ce l’hai solo te il diritto, non è che la storia la puoi fare solo te”.

A parlare è Barbara Balzerani, la “Compagna Luna” colei che, oltre all’uccisione di Girolamo Minervini e Lando Conti, fece parte del gruppo di fuoco che rapì l’onorevole Aldo Moro. La Balzerani ha preso i suoi ergastoli ma ovviamente è libera dal 2011 in base ai benefici della Legge Gozzini e conduce una vita da donna di cultura scrivendo libri, rilasciando interviste e pontificando nelle “buone scuole”.

Ci sarebbe da sobbalzare per una simile dichiarazione anche se, a voler analizzare con serenità ciò che la nostra raffinatissima stragista ha affermato, c’è più di un fondo di verità nelle sue parole. La Balzerani reclama il diritto a “fare la storia”, ad essere ascoltata rivendicando le ragioni della lotta armata – peraltro mai rinnegata – perché le Istituzioni e gli opinion maker le hanno dato facoltà di parola trattandola come una “riabilitata” e illudendola sul fatto che le argomentazioni a supporto delle sue azioni fossero accettabili. L’impressione – negli anni passati era solo un sospetto – è che la massiccia presenza in televisione di tutta la colonna armata di via Fani abbia regalato alla Compagna Luna la sensazione di aver raggiunto il traguardo di una vita e cioè la piena legittimazione politica delle Brigate Rosse. Quella stessa legittimazione che la linea dura dello Stato (la quale portò all’uccisione di Moro) non accordò mai alle Br derubricando il fenomeno a mera banda armata, a delinquenza comune di stampo terroristico le cui ragioni non erano nemmeno degne di essere ascoltate.

Nel quarantennale dall’uccisione di Aldo Moro il fatto che i protagonisti di questa triste fase della storia patria siano stati fotografati, intervistati, ospitati, ricercati e ascoltati come fossero degli analisti che ricostruiscono le ragioni politiche del terrorismo è una vittoria per costoro, è la prova provata del fatto che la loro interlocuzione è ormai divenuta ufficialmente paritaria. Le interviste bonarie e prive di domande scomode, che nell’anniversario della morte di Moro hanno fatto assurgere degli assassini al rango di star, mal celavano una certa forma di ossequioso rispetto verso l’idea che sottendeva all’organizzazione terroristica quasi come ci fosse un inconfessabile (ed inconfessato) retropensiero di ammirazione verso dei coraggiosi combattenti che hanno sacrificato la loro vita per un nobile ideale, per una buona battaglia finita male.

Chiaro che poi le Balzerani di turno, di fronte a cotanta ammirazione si sentano in diritto di “scrivere la storia”, di offrire analisi politiche, di non rinnegare la loro ideologia criminale con il piglio arrogante di un interlocutore dotato di agibilità morale e politica. Perché poi alla fine l’adagio comune vuole che il Cecato, Valerio Fioravanti e Francesca Mambro siano dei volgari delinquenti asserviti a una rozza ideologia che ruttavano proclami privi di fondamento mentre i vari Achille Lollo, Valerio Morucci, Mario Moretti e Prospero Gallinari sono degli eroi romantici, degli idealisti magari a volte anche da aiutare a guadagnare la latitanza in Sudamerica attraverso il “Soccorso Rosso Militante” (l’organizzazione finanziata tra gli altri da Dario Fo e Franca Rame).

Va da sé che questi violenti fanatici si gasino di fronte a cotanto misero lecchinaggio e si abbandonino all’epica del brigatismo dispensando lectio magistralis di ideologia e paragonando la loro esperienza a quella della Resistenza che secondo Morucci fu terroristica perché i Partigiani operavano nelle città “attraverso indicazioni che erano assolutamente terroristiche”.

Chiave di lettura questa che, pur essendo magari anche vera, non costituisce certo motivo di vanto per i Partigiani che comunque non ci pare abbiano smentito il parallelismo. Ciò a dimostrazione di quel clima di benevolo rispetto che da sempre ha circondato i “compagni che sbagliano” in una sorta di gioco di specchi tra pezzi dello Stato (o della società civile) e anti Stato.

Aggiornato il 21 marzo 2018 alle ore 17:38