Carnevale dixit

Nei giorni scorsi Corrado Carnevale, l’indimenticabile presidente della Prima Sezione Penale della Corte Suprema di Cassazione, l’uomo intorno al quale e contro il quale si scatenò, cieca e spudorata l’ira e la perfidia di una giustizia, con tutto il suo corteggio di una stampa accecata dal gusto del linciaggio, ribelle di fronte al dovere di essere giusta e di dover applicare la legge secondo scienza e coscienza, ha reso alla rivista della Camera Penale di Roma “Centoundici” un’intervista che in poche pagine racchiude la storia di un momento cruciale del golpe giudiziario italiano, quello che ha abbattuto, come primo obiettivo dell’eversione, il concetto stesso di giustizia giusta, di diritto come scienza fondata su principi non eludibili. E in cui quella giustizia “alternativa”, cioè ingiusta, strumentale, ipocrita in nome di “esigenze sociali”, che poi sono il disegno eversivo di chi tale devianza sostiene e di cui profitta, è diventata il braccio secolare di una sinistra accecata dalla sua stessa vacuità.

Nella vicenda di Corrado Carnevale, indiscutibilmente il magistrato più dotato, con “i numeri” per raggiungere facilmente le più alte funzioni del sistema giudiziario, c’è la storia, tutta la storia della fragilità della giustizia di fronte alle spinte più banali e consuete della vita sociale, alle deficienze morali e culturali, alle vergognose debolezze, alla ipocrisia dell’apparato umano cui essa è affidata.

Ma c’è anche la chiave della singolarissima vicenda italiana, nella quale quei difetti, quelle carenze morali ed intellettuali di uomini e quella fragilità di istituzioni divenne in un lampo strumento, campo di eversione, macchinazione golpista capace di travolgere la Repubblica, di distruggere ogni traccia della classe dirigente, forzandone il corso della storia.

Corrado Carnevale non ha mai rivendicato questo suo spiacevole ruolo di obiettivo di un golpe, di un disegno eversivo. Non ha però mancato mai, pur nei limiti di una oggi inconsueta discrezione, di sottolineare le debolezze, le incapacità, i limiti intellettuali e morali dei suoi Colleghi che furono protagonisti o “concorrenti esterni” o succubi sconciamenti inerti di tale operazione.

Lunga è l’intervista ma breve è la sintesi da essa ricavabile di pagine convulse e straordinarie di storia. Sono evocati fatti ben noti allora, o forse dimenticati o voluti dimenticare, da chi oggi dovrebbe essere testimone. Fatti di cui tuttora le sciagurate conseguenze pesano non solo sulla giustizia, ma sull’intera vita sociale e politica italiana. La storia del “concorso esterno”, quella del cosiddetto “doppio binario” della procedura penale e della stessa giustizia di fronte al fenomeno mafioso. E molte altre cose.

Non credo, purtroppo, che Corrado Carnevale vorrà scrivere un’opera storica sulle vicende di cui è stato protagonista. Peccato! Intanto nel corso dell’intervista, casualmente (nel senso che Carnevale non vi ha fatto ricorso per “prendersi una rivincita”) emerge qualche nome degli sciagurati strateghi. Basta farne uno: l’avviso di garanzia che diede la stura alla più sciagurata e durevole persecuzione di un magistrato che pretendeva, nientemeno, di applicare il diritto, porta la firma di Antonio Ingroia. Oltre quello di Gian Carlo Caselli. Leggete quelle pagine.

Aggiornato il 04 aprile 2018 alle ore 18:57