Caos a 5 Stelle

Un aforisma, un commento Nella teoria fisica del caos, un ruolo cruciale è sicuramente quello dello ‘strano attrattore’ verso il quale un sistema dinamico evolve. In politica, quella italiana in particolare, è la stessa cosa ma l’attrattore non è affatto strano: è il potere”.

Lo spettacolo, pietoso e pericoloso allo stesso tempo, che sta offrendo al mondo e a noi stessi la cronaca post-elettorale è francamente scoraggiante. Ma va aggiunto che, a scoraggiare, non è più e solo la nostra tradizionale farragine politica bensì, e forse di più, quella degli alfieri dell’antipolitica e dell’anti-casta. Che nessun partito sia disponibile a rinunciare alla possibilità di formare o a entrare in un Governo è del tutto comprensibile ma che, a sgomitare con le tecniche più consolidate della politica all’italiana, siano proprio e soprattutto coloro che, fino a ieri, si presentavano orgogliosamente come gli immacolati demolitori dei compromessi e portatori di quell’aria fresca e pulita di cui l’Italia ha senza dubbio bisogno, è decisamente il colmo.

Intendiamoci: era facile previsione, fatta anche su queste colonne da più commentatori, che i 5 Stelle sarebbero ben presto scesi dall’empireo, peraltro assai vacuo e penoso, delle proprie auto-affermate virtù e, delle due l’una, si sarebbero trovati costretti a “fare politica” oppure a scomparire rapidamente dalla scena. Ma che, avendo scelto la prima alternativa, abbiano tutt’ora la faccia tosta, attraverso veti e proclami, di descrivere se stessi come diversi è francamente, quanto meno, grottesco.

Ovviamente, al di sotto del comportamento e nelle dichiarazioni di Davide Casaleggio, Luigi Di Maio e soci vi sono calcoli ben precisi tesi a non perturbare o deprimere il proprio elettorato, ma, anche questo, costituisce un denominatore comune di tutti i partiti e infatti i 5 Stelle si stanno muovendo esattamente come gli altri: dichiarazioni fumose, annunci ambigui, insomma chiacchiere ufficiali e, non c’è dubbio, trattative nell’ombra più classica buttando alle ortiche lo streaming che tanto aveva affascinato le folle.

È davvero singolare, e a sua volta penoso, che milioni di elettori non abbiano intuito rapidamente che non era certo affidandosi a queste anime apparentemente candide che l’Italia avrebbe potuto sperare non tanto in un generico “cambiamento” (formula logora, generica e abusata) quanto in un rinvigorimento della buona politica che, in fondo, sopravvive, qua e là in ogni gruppo politico. E, invece, siamo nel caos più perfetto, sostenuto e anzi alimentato esattamente da coloro che affermavano, e ancora affermano, chissà perché, di essere i “migliori”. Un esercito della salvezza a Cinque Stelle, come gli hotel di lusso, ma sedicentemente sensibili al grido di dolore dei più poveri, quelli che non hanno mai villeggiato nemmeno in un albergo con una sola stella.

Una vera banda di incompetenti, arrabbiati e senza idee che solo attraverso l’imbonimento più banale, realizzato per mezzo dell’impiego più disinvolto e poco faticoso delle piazze virtuali di Internet, ha conquistato l’anima semplice di altri arrabbiati. Costoro, votandoli, si illudevano di aver dato il colpo di grazia a una classe politica la quale certamente non merita grandi elogi ma che, almeno, fra alti e bassi ha cercato e cerca di difendere gli interessi, se non gli ideali, di diversi e magari contrapposti segmenti di una società difficile come quella italiana, capace di individuare il senso dello Stato e del bene comune solo quando gioca la nazionale di calcio.

Siamo sinceri: uno può essere di destra o di sinistra, o magari un po’ più di qui o un po’ più di là, ma solo gli arroganti possono proclamarsi “al di sopra”. Chi lo fa è destinato a commuovere gli sprovveduti, ad agitare gli animi e a creare attese messianiche da un lato e caos dall’altro, ma, poi, di fronte alle “porte co’ sassi”, come dicono a Firenze, crollano miseramente. Trascinando con sé, purtroppo, anche gli incolpevoli. E l’Italia, come altri Paesi europei, sa o dovrebbe sapere e ricordare bene cosa può accadere quando il caos raggiunge limiti intollerabili e mette a repentaglio quel poco di buono che ancora ci rimane.

Certamente Sergio Mattarella non ha alcun bisogno di imitare Charles de Gaulle, ma anche in buon italiano potrebbe dire ai ragazzotti di Beppe Grillo: “La ricreazione è finita. Parliamo di cose serie”.

Aggiornato il 10 aprile 2018 alle ore 13:55