Democrazia diretta 3.0

Quale è il significato di una “Terza Repubblica” della democrazia diretta? Abbiamo già osservato come il voto fluido a-ideologizzato possa punire senza poi poter costruire nulla di concreto. Il risultato del suffragio universale, infatti, può azzerare a piacimento e a ripetizione establishment ed élite storicamente fallite, autoreferenziali e impotenti, ma non può governare direttamente i processi di cambiamento richiesti, dato che mai in politica uno non vale uno. Soprattutto quando si tratta di decine di milioni di potenziali decisori, tanti quanti gli aventi diritto al voto.

Dunque, qualunque siano le spinte dal basso e il numero degli eletti in Parlamento (che, per ora, in base all’attuale Costituzione rimane una democrazia rappresentativa), inevitabilmente le scelte fatte dagli elettori focalizzano una cerchia ristretta di mediatori, votati e non, i quali successivamente, attraverso la formazione di un Esecutivo, avranno l’onere e la responsabilità di avviare le politiche sistemiche di cambiamento. Sì, ma quali? Le maggioranze qui diventano di fondamentale importanza perché o si hanno i numeri per formare un Governo monocolore, oppure occorre accordarsi con qualcun altro.

Ancora più complicato, volendo davvero introdurre efficaci strumenti di democrazia diretta, è procedere a riforme costituzionali unilaterali (senza, quindi, l’ordinario e faticoso travaglio delle soluzioni di compromesso), laddove non si possegga la maggioranza qualificata dei due terzi per evitare il ricorso al referendum confermativo che, per inciso, è privo di quorum! La Storia insegna che chi promette al volgo osannante di andare sulla Luna alla guida di un’utilitaria è solo un visionario fantasista, costretto a volare con le ali di Icaro e, quindi, a non sopravvivere politicamente alla sua stessa avventura.

Quindi, per non rischiare di impantanarsi in un modello orizzontale di consultazione permanente con decine di milioni di “decisori on-line”, occorre che dichiarazioni apocalittiche come “uno-vale-uno” siano ricondotte a un ambito di gestione che salvi l’apparenza ideologica ma la ribalti nella sostanza delle condotte della leadership. Cioè, occorre avere una gestione verticistica molto rigida, facendo credere agli iscritti alla piattaforma digitale (che gestisce opinioni e consultazioni dirette del Partito o Movimento) che sia il loro punto di vista a contare.

Per di più, se poi si mettono in opera operazioni contrattuali privatistiche, penalizzando i dissensi di singoli parlamentari eletti nelle liste del Partito/Movimento con sanzioni pecuniari molto rilevanti per un incapiente, e/o con l’espulsione che provoca lo scontato, mancato rinnovo delle candidature, allora si va incontro a una palese violazione della Costituzione vigente che esclude il vincolo di mandato, reintrodotto surrettiziamente dal suddetto contratto privatistico.

Inoltre, mentre resta compatibile l’utilizzo di una piattaforma digitale per i giochi interni di formazione delle liste, la mancata trasparenza degli algoritmi che la regolano crea un vulnus molto significativo in merito alle decisioni di democrazia diretta. Questo perché non esiste, né è prevista un’Autorità terza e indipendente (una sorta di “blind-trust”) cui affidare la sorveglianza e il monitoraggio super partes sul corretto funzionamento della Rete.

Come tutti sappiamo, del resto, i sistemi digitali sono esposti a scorribande degli hacker e per di più, in questo caso, chi possiede le chiavi digitali dell’accesso alla piattaforma e alla scrittura degli algoritmi è una società privata che, in tal modo, risulta in grado di incidere direttamente e profondamente sull’attività parlamentare, configurando verso di essa un etero direzione del tutto incompatibile con le libertà democratiche.

 

Aggiornato il 12 aprile 2018 alle ore 17:59