Chiudete il forno

martedì 24 aprile 2018


Sembra che il forno tra Lega e Movimento Cinque Stelle sia stato definitivamente chiuso lasciando spazio all’alchimia più gradita al Quirinale e cioè la prova d’intesa tra Luigi Di Maio e il Partito Democratico.

Vedremo se poi alla fine il pressing di ben due Presidenti della Repubblica (uno in carica e uno emerito) riusciranno a sortire l’effetto di cementare due posizioni così distanti soprattutto dopo la guerra senza quartiere sviluppatasi in questi cinque lunghi anni zeppi di insulti reciproci dopo aver proferito i quali serve una buona dose di faccia tosta per far finta di nulla e governare insieme.

Se il Pd ha ancora insito qualche istinto di sopravvivenza si guarderà bene dal porgere il fianco ad un simile abbraccio mortale che rischia di sancire definitivamente la scomparsa della sinistra relegandola a stampella dei Pentastar.

Sì, perché come per le trattative con Matteo Salvini, anche in questo caso il “contratto di Governo” che Luigi Di Maio intende proporre ha lo stesso canovaccio: i grillini si prendono gli onori e i Democratici si sobbarcano gli oneri.

Ma se questa trattativa è ancora in fase embrionale, quella apparentemente appena conclusasi tra Lega e Movimento lascia degli strascichi che è bene sviscerare. Diciamocelo chiaramente: Salvini ha preso una enorme e inspiegabile sbandata per Di Maio e, per la fregola di concludere con l’amato partner, pretendeva di organizzare la festa di fidanzamento trattando i suoi alleati come si fa con i parenti ingombranti che è bene relegare in cucina nelle occasioni ufficiali. Salvini pretendeva di trattare Silvio Berlusconi come il nonno picchiatello che ogni tanto svalvola e Giorgia Meloni come la cugina un po’ burina che è bene non parli con gli illustri invitati del promesso sposo.

Non potendosi liberare di consanguinei così imbarazzanti (che però gli assicuravano una dote del 37 per cento dei voti) ha provato a ridurli al silenzio innervosendosi se costoro provavano (come è giusto che sia) a ribellarsi di fronte alle provocazioni di Giggino il fidanzato tracotante che si prendeva la briga di porre veti o di conferire patenti di impresentabilità.

Salvini esigeva che gli alleati (che impresentabili non sono visto il suffragio degli italiani) sopportassero gli insulti senza reagire onde non rendere quello tra lui e Di Maio un amore contrastato come quello di Romeo e Giulietta finito in vacca per dissidi familiari. Ma nessuno ci toglierà dalla testa che Salvini abbia tenuto in piedi l’alleanza non tanto per amore della coalizione quanto per puro calcolo: se mi presento come Lega (come vuole Di Maio) finisco a fare la colf di Grillo mentre se mi presento come centrodestra posso sedere a tavola reclamando pari dignità.

La coalizione non è quindi rimasta in piedi per senso di responsabilità ma per impossibilità tecnica a frantumarla senza conseguenze. Che Di Maio dica tutto il bene possibile di Salvini dovrebbe indurre quest’ultimo a pensare che forse sta sbagliando qualcosa se piace così tanto al partito dei buoni a nulla. Ma che Salvini dica tutto il bene di Di Maio è ancor più grave e dovrebbe ingenerare qualche preoccupazione negli alleati oltre che negli elettori perché un aspirante leader del centrodestra che reputa di avere qualcosa in comune con il sottovuoto spinto a Cinque Stelle forse non ha ben compreso cosa si sia candidato a guidare. La speranza è che si sia trattato di un attimo di sbandamento e che Matteo rinsavisca al più presto. Bene ha fatto il padre esperto a ricordare al figliolo con l’ormone impazzito che certe pulsioni è bene tenerle a freno quando non sei lucido a tal punto da scambiare una strappona buona per pulire i cessi di Mediaset con una incantevole Venere callipigia.


di Vito Massimano