L’impeachment logora chi lo fa

All’italiana. Come al solito e nel senso più deteriore che questa espressione cela. Anche l’impeachment targato Cinque Stelle non sfugge al destino secondo cui la tragedia diventa farsa. Ovverosia, “l’impeachment logora chi lo fa”. Come dimostrano i due precedenti più noti in materia nel Bel paese che fu. L’articolo 90 della Costituzione recita in maniera solenne che: “Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nellesercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione. In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri”.

Ma questa procedura - che prevede, in seguito a un eventuale approvazione parlamentare, il giudizio della Corte costituzionale allargata con sedici membri cittadini eleggibili al Senato - a ben vedere sembra fatta apposta per un golpe. Non per un capriccio di un partito setta che tende a demonizzare chiunque si metta di traverso sulla sua strada.

Nella storia patria, prima si tentò con Giovanni Leone. Sul falso presupposto che fosse lui l’Antelope cobbler del caso Lockheed - presupposto basato solo sul fatto che la locuzione “antelope cobbler”, divoratore di antilopi, per associazione di idee portasse a identificarne l’ontologia in uno dei grandi felini africani e quindi in colui che ne portava il cognome - e con il supporto di un libro pieno di falsità, quale era quello per il quale Camilla Cederna subì condanne per diffamazione e a risarcire il danno, senza peraltro mai chiedere scusa all’esimio giurista napoletano. In quel caso giocarono un ruolo anche i Radicali e Marco Pannella, che però anni dopo a Leone scusa glielo chiese in pompa magna.

Poi venne l’epoca dell’ira funesta del cosiddetto “zombie coi baffi”, al secolo Achille Occhetto, così come definito da Francesco Cossiga, che infatti fu destinatario di analoga manovra sponsorizzata dal Pci-Pds. Manovra che invece si ritorse tutta contro un partito nel frattempo travolto dalla caduta del Muro di Berlino e dal cambiamento di nome e ragione sociale appena effettuato con la svolta della Bolognina.

Poi ancora si registra solo la velleità grillina che, data a tre anni orsono, ha voluto mettere sotto impeachment Giorgio Napolitano, accusato per il proprio interventismo a favore di governi della sinistra. Interventismo però sempre dentro i limiti della Costituzione.

Adesso la minaccia di Giggino Di Maio, che fa quasi sorridere per la rabbia che esprime e manifesta, è quella di un poveretto rimasto con in mano il cerino eversivo dopo lo sfilarsi prudente (o furbo) di Matteo Salvini. Per chi non ama i giochetti della Casaleggio Associati, che abbiamo rischiato di vedere rappresentata come società privata anche con un sottosegretario a Palazzo Chigi, si può preconizzare che, quando una forza politica arriva alla mossa disperata di giocare la carta del “ricatto impeachment” al capo dello Stato, allora il viale del tramonto sta per cominciare.

Come per Leone e Cossiga, anche per Mattarella l’impeachment logorerà chi lo ha proposto nel medio termine. Anche se in quello immediato potrà essere un argomento efficace di campagna elettorale per tutti quegli italiani di bocca buona che ancora credono alle panzane del comico e della setta dei “Testimoni di Genova”.

Aggiornato il 28 maggio 2018 alle ore 12:55