Essere moderati fra elezioni e delegittimazioni

Si sta andando forse verso la peggiore, e più pericolosa, campagna elettorale dal 1948, quando fu in gioco l’appartenenza dell’Italia al Mondo Libero, col serio rischio, in caso di vittoria del Fronte popolare socialcomunista, di finire nella sfera d’influenza dell’Unione Sovietica di Stalin.

Adesso il pericolo è di una campagna elettorale tutta incentrata sul ruolo del capo dello Stato e sull’utilizzo delle sue prerogative, con un effetto di delegittimazione della Prima Magistratura. Non solo, ma siccome il possibile governo gialloverde è abortito per il rifiuto del capo dello Stato di nominare il ministro all’Economia proposto nella lista presentata dal Presidente del Consiglio incaricato, nella persona del professor Paolo Savona, con conseguente restituzione da parte dell’incaricato del mandato ricevuto, e il rigetto è motivato da passate posizioni dello stesso sull’Euro e l’Unione europea, la campagna elettorale è anche possibile che ponga in discussione il ruolo dell’Italia in Europa; almeno in modo implicito.

Con tutta sincerità, ho sempre trovato semplicistica l’interpretazione più consueta, tra i costituzionalisti, sulla scorta del Mortati, dei poteri e limiti insiti nelle prerogative del Presidente della Repubblica: a questi spetterebbe la scelta di chi incaricare per la formazione del governo, ma quella dei ministri coi quali comporlo sarebbe del Premier incaricato. Quest’ultimo, infatti, propone i ministri, ma è il capo dello Stato che li nomina, e avanti all’inquilino del Quirinale costoro giurano. Non penso che la proposta sia vincolante. Piuttosto, sono propenso a dare ragione alla buonanima di Giuseppe Maranini, il più grande storiografo del Diritto costituzionale del secolo scorso. Il noto giurista sostenne che quella della Costituzione del 1947-’48 non è una pura repubblica parlamentare, in quanto le prerogative costituzionali del capo dello Stato sono teli dal poter legittimamente essere interpretate e applicate in senso semipresidenziale. Sull’Unione europea non ho mai capito una cosa, dei populisti non solo italiani: se a livello nazionale non sono d’accordo con l’indirizzo di un governo, attaccano quel governo e non la Costituzione o la Nazione; invece, se sono contro le politiche comunitarie, non se la prendono ad esempio con la Commissione Juncker, che è il governo dell’Unione, ma con l’Ue ed i Trattati istitutivi, che ne sono la Costituzione.

Tra l’altro, la Commissione si regge sulla fiducia del Parlamento europeo che, con un voto di censura, potrebbe determinarne le dimissioni; ma lorsignori non attaccano i parlamentari, assenteisti o sbadiglianti, ma l’Unione. Comunque, si va, forse, verso una campagna elettorale non divisi fra destra e sinistra, o centrodestra e centrosinistra, per aggiungere la particella che soddisfa i perbenisti, ma fra sostenitori e denigratori insultanti il capo dello Stato, e tra europeisti e pseudo-sovranisti. Bisogna gettare acqua sul fuoco prima che sia troppo tardi, e il vecchio Silvio Berlusconi è l’unico a rilasciare dichiarazioni in tal senso.

Aggiornato il 30 maggio 2018 alle ore 20:02