Intercettazioni: toghe e giornalisti, bene stop decreto

Magistrati e giornalisti accolgono con favore l’intenzione del neoministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, di “intervenire nei prossimi giorni” sul decreto sulle intercettazioni che “non piace a nessuno degli operatori del diritto”, specie perché - dice in un’intervista il guardasigilli - “porre come unico filtro alla raccolta delle informazioni la polizia giudiziaria crea una lacuna, che non tutela né gli indagati né gli inquirenti”.

Critiche invece arrivano dai penalisti all’annunciata “riscrittura” del decreto attuativo della riforma delle carceri, “perché mina - sostiene il ministro - la certezza della pena”.

“È un’apertura che accogliamo con favore: la riforma delle intercettazioni è sbagliata e dunque se ci sarà un ripensamento non potremo che essere d’accordo”, dice il presidente dell’Anm, Francesco Minisci. “Se il ministro ritiene che la riforma danneggia le indagini vuol dire che avevamo ragione noi”, dice Minisci ribadendo che la legge è anche “inidonea a evitare la pubblicazione delle conversazioni sensibili”, che era l’obiettivo primario della riforma.

“Il punto più critico è il potere di selezione delle conversazioni rilevanti che viene demandato alla polizia giudiziaria: noi chiediamo che si intervenga su quello”. “Credo che un riflessione vada fatta, si è molto discusso di questo strumento e dell’esigenza che alcuni aspetti vengano rivisti”, aggiunge il procuratore nazionale antimafia, Cafiero de Raho, secondo cui “le intercettazioni rappresentano uno strumento della Giustizia attraverso cui si combatte il terrorismo e la mafia. Un sistema che renda più difficile e complesso il lavoro della polizia giudiziaria finisce per ostacolare l’efficienza del contrasto stesso”.

“Dal momento che abbiamo contestato nel metodo e nel merito il provvedimento sulle intercettazioni, non possiamo che accogliere positivamente - dicono Federazione nazionale della stampa italiana e Ordine dei giornalisti - la decisione del ministro Bonafede di sospendere il relativo decreto. Ci auguriamo che il confronto possa essere riaperto e che al centro dell’attenzione siano riportate le cosiddette querele bavaglio, diventate uno strumento di permanente minaccia nei confronti dei cronisti che indagano su malaffare e corruzione”.

Riguardo invece alla volontà espressa dal ministro di riscrivere il decreto sulla riforma penitenziaria, il presidente dell’Anm Minisci aspetta di vedere “quali saranno gli interventi in concreto. Nella materia penitenziaria non si può assolutizzare: ci sono reati particolarmente gravi per cui non si può prescindere dal carcere e altri di minore allarme sociale per cui si può accedere alle misure alternative. Bisogna confrontarsi sui tipi di reato senza abbracciare una visione che guarda solo alla custodia cautelare o all’opposto solo alle misure alternative”.

Critici invece gli avvocati penalisti secondo cui “il ministro della Giustizia ha una visione della pena fondata sul carcere, totalmente sbagliata. Confonde la certezza della pena con il fatto che vada scontata in carcere”, afferma Beniamino Migliucci, presidente dell’Unione delle Camere penali. “Siamo molto contrariati - aggiunge - dal sentire questo tipo di ricette da un avvocato che però fa il ministro”.

Aggiornato il 08 giugno 2018 alle ore 09:11